Un’interpretazione della nascita degli stili imitativi

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indiani d'america

I nomi dei personaggi dei film cinesi che possiamo vedere al cinema, soprattutto quando si parla di Kung Fu, sono spesso del genere “Neve che vola”, ”Fiore di luna”. È evidente il riferimento alla natura.
Anche gli indiani nativi americani hanno spesso nomi del genere: “toro seduto”, “giovane aquila”, “balla coi lupi” etc.
Sia quella cinese sia quella amerindiana sono culture profondamente legate alla natura. I loro miti sull’origine delle cose rimandano sempre ad un momento in cui da un generico tutto si è generato il cosmo, di cui anche noi facciamo parte. Che sia il Tao o la Grande Madre Terra, per cinesi e amerindiani siamo tutti figli di questo Uno, per dirla alla maniera neoplatonica. Proprio tutti: anche gli alberi, gli animali, il Sole, la Luna e le stelle. Qualsiasi cosa. Di conseguenza siamo tutti fratelli.
Il concetto di fratellanza è centrale nei legami che queste culture vedono tra le cose. Le relazioni, i rapporti tra simili e dissimili, come suggerisce L’ I Ching o Libro dei Mutamenti, esistono perché tutte le cose sono uno. O almeno lo erano.
La Natura: è questa l’idea “erede” di quell’uno che era il Tao o la Grande Madre Terra. Lasciamo gli indiani in America e pensiamo ai loro fratelli cinesi.
Quanto conta la natura nel Kung Fu?
È evidente: ci sono ovunque tigri, leopardi, gru, mantidi, alberi, montagne, etc. Poi anche il drago, che è un elemento che certamente appartiene a una natura immaginaria, ma sempre natura è: non è mica un essere meccanico.
Nei nostri programmi di stile siamo pieni di forme che si riferiscono agli animali. Lo Shaolin è l’apoteosi di ciò: ce li ha tutti.
Gli stili imitativi basano la loro stessa esistenza proprio sull’imitazione degli animali. L’hung gar kuen è lo stile tigre-gru (un articolo su questo stile è uscito sul numero 3 di Kung Fu Life), il wing chun sembra essere una bella primavera imparentata con una gru bianca.
Non basterebbe tutto il web per elencare i riferimenti agli animali che esistono nella nostra arte.
Una domanda però mi incuriosisce: perché tutti diciamo che l’arte marziale è un’espressione umana, un conoscere se stessi, se poi imitiamo non solo qualcun altro, ma proprio un’altra specie?

bruce lee

Bruce Lee basa le fondamenta teoriche del Jeet Kune Do sull’esprimere se stessi come esseri umani e artisti marziali sinceramente (famosissima l’intervista televisiva “The Lost Interview”). Infatti nel JKD non trovo molti animali.
La curiosità mi ha portato a pormi un’altra domanda: come saranno nate queste arti? Come avranno fatto i loro fondatori a creare qualcosa del genere?
Potrei immaginarmi un monaco che medita su un masso, osservando la natura intorno a sé. Ad un certo punto vede una tigre che combatte contro una gru e dice a se stesso: «Ehi, guarda che energia, eleganza, efficacia, maestosità ! Anche noi uomini dovremmo combattere in quel modo. Adesso invento uno stile di combattimento che imiti quegli animali». Il giorno dopo comincia a muoversi e crea le forme, poi le applica e si sente ora una tigre ora una gru. Raccoglie adepti e allievi, ed ecco che lo stile si diffonde fino ad arrivare fino a noi.

tigre bianca

Qualcuno racconta che la monaca Ng Mui abbia creato il WIng Chun guardando combattere una gru bianca contro un serpente: è esattamente come il mio esempio, solo che al posto del serpente c’è la tigre.
Ora, a me non convince molto questa storia. Esistono miliardi di stili: la Cina ha allora avuto nei secoli miliardi di etologi del combattimento? Personalmente, credo che i monaci guerrieri fossero innanzitutto dei combattenti di certo profondi, ma non dei professori di etologia. Mi piace immaginare la nascita di uno stile pressappoco così.
Il nostro monaco medita sul suo masso, ma ad un certo punto è costretto ad alzarsi perché c’è qualcuno da difendere. Combatte, si ferisce ma sopravvive. Ritorna sul suo masso e pensa qualcosa del genere: «Oggi ho lottato per la vita e per l’equilibrio, essenza del Tao, nel divenire tra yin e yang. La mia comunione con il tutto mi ha fatto sentire energico, elegante, maestoso ed efficace. Tra l’altro, come è che ho sconfitto quell’uomo lì? Ho fatto così, poi cosà, poi colì, etc. Sembravo forte come una tigre, poi però sono diventato morbido e agile come una gru. Potrei comunicare così ai miei allievi questo divenire yin-yang, essenza dell’equilibrio del combattimento, fondato sul cambiamento». E così nasce lo stile, attraverso alcune metafore tipiche dell’animo spirituale dei monaci guerrieri, di vicinanza alla natura e ai fratelli animali.
Dove la storia si confonde con la leggenda è lecito lasciare libertà di interpretazione a chiunque dica qualcosa di sensato. Mi piace molto di più questa seconda interpretazione della nascita di uno stile imitativo, rispetto alla prima. In questo modo l’essere umano può esprimere davvero se stesso e contemporaneamente conservare quel legame con la natura che condivide con i nativi americani.

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