Non amo molto parafrasare i miei racconti. Come scrive il buon Cristian Gosti, caporedattore e fondatore di Kung Fu Life, nella sua lusinghiera prefazione al mio recente libro Strani racconti Zen. Curiose vicende di uomini e mondi — disponibile in formato ebook su Amazon e Mondadori Store oppure ordinabile in copia cartacea scrivendo a mbonifati@libero.it — preferisco siano <<bottiglie con dentro un messaggio che spetta al lettore trovare ed interpretare. È, questa, una peculiaritá dell´autore ma anche un suo diletto: lasciare a chi legge lo spazio che merita. Non tutto deve essere apparecchiato per essere semplicemente consumato. Molto meglio indicare la direzione e lasciare che la lettura tracci la strada. L´esperienza perde in passivitá per guadagnare in riflessione>>.
L´inedito E così il Drago Alato del Kung Fu mi parlò, tuttavia, merita un paio di riflessioni. Quantomeno perché il titolo stesso del racconto contiene una notevole imprecisione, la cui sottostima è costata cara al nostro Fausto. Quest’ultimo, praticante di Taijiquan e Shaolin, è una evidente italianizzazione del goethiano Doktor Faust che vendette l’anima a Mefistofele in cambio di conoscenza (Goethe 2012). Fausto non brama però tanto i segreti della Natura, quanto più quelli della devastante energia interna del Qi del Kung Fu cinese e del Taijiquan.
Decide allora di allenarsi e allenarsi e allenarsi per raggiungere questa fantomatica illuminazione, seguendo naturalmente i consigli del suo saggio Maestro. Da buon conoscitore dei metodi di visualizzazione tipici di stili interni come l´Yi Quan, trae proprio dalla boxe dell’intenzione il "vedere con la mente" l’obiettivo da raggiungere come fosse una figura. In quale immagine incarnare però il Qi? Nel Drago, ovviamente. Se la Tigre è la forza muscolare e la Gru l’eleganza del gesto, il Drago è appunto la metafora faunistica del soffio vitale taoista che pervade ogni cosa, microcosmo e macrocosmo. È proprio a causa dell’intima connessione tra questi ultimi che è possibile attingere dall’energia universale per incanalarla nelle tecniche di combattimento del Kung Fu.
Ed è proprio qui che nasce il problema. Cosa sottostima Fausto? Il proprio essere occidentale. Non si rende conto che non è possibile azzerare il proprio essere culturale specifico, la sua storia personale evolutasi in anni di visione del mondo italiana. Come gli ricorderà proprio Satana, egli dimentica di essere <<figlio di un Medioevo europeo>>. Fausto non si rende conto che la figura che per ore di allenamento visualizza nella propria mente non è quella del Drago cinese, simbolo dell’Imperatore e della sua saggezza e bontà. Il grande rettile che vede non possiede barba e baffi, non ha le fattezze di un lungo serpente avvinghiato e con tre strani artigli per zampa. Non nota il corpo più tozzo, le zampe più muscolose, i cinque artigli a punta e il muso glabro e adunco come il becco di un volatile. Proprio come non si accorge, e qui torniamo all’inesattezza del titolo, delle ali.
Gli elementi più ornitologici e meno serpentini rendono la creatura più simile ad una viverna. Il Drago che immagina non è quello di Dragon Ball o del Syrio dei Cavalieri dello Zodiaco, ma lo Smaug della Terra di Mezzo del Signore degli Anelli di Tolkien.
Il Drago che ha dato nome e natali al grande Bruce Lee non ha le ali: il Long cinese può di certo volare e c’è chi dice che potrebbe all’occorrenza farsele crescere, ma nell’iconografia classica orientale è scarsamente diffusa l’immagine di un Long alato. Diversamente, nella cultura europea il Drago vola perché agita le ali. Sputa fuoco ed incenerisce uomini e città perché è una creatura sostanzialmente malvagia ed usurpatrice, uno dei simboli prediletti del male. Lo sa benissimo Lucifero, che lo assurge a sua icona fondamentale. Proprio come il serpente dell’Eden che tentò Eva o come il Pan dagli zoccoli e la testa caprini, Satana sceglie il Drago come personificazione della propria malvagità. Il latino draco significa infatti in rumeno <<demone>>, <<diavolo>> ed è per questo suo patto con le forze del male che il principe impalatore valacchiano Vlad Tepes III fu chiamato Dracula, rendendosi letterariamente immortale attraverso il romanzo di Bram Stoker.
Fausto si allena ma dimentica di ricordarsi che la cultura è relativa ai propri natali. Questo non significa che si è destinati inevitabilmente a conoscere solo ed esclusivamente la propria: è assolutamente possibile addentrarsi nell’esotico attraverso lo studio e il duro lavoro tipico del Kung Fu. Si deve però farlo partendo dalla consapevolezza che i primi passi saranno necessariamente viziati da come fino ad allora abbiamo esperito il mondo: ovvero in maniera occidentale. Solo tematizzando la nostra Weltanschauung (<<visione del mondo>>, Dilthey 1954) è possibile in qualche modo superarla e affiancarla al diverso. Se non ci accorgiamo però di cosa significhi per noi un concetto, è molto difficile arrivare a immaginare cosa esso significhi all’interno della visione cinese.
Fausto continua dunque a guardare ed invocare una figura che non ha nulla di buono e saggio. La sua invocazione diviene talmente potente da trasformarsi in una evocazione, a cui risponde puntualmente l’impaziente Mefistofele. Quest’ultimo, principe della menzogna e sommo ingannatore, lascia credere al protagonista di avere a che fare con un Drago imperiale cinese ed usa il suo curioso intercalare <<ci metterei la firma>> per suggellare un patto di sangue ed appropriarsi dell’anima di Fausto. Il racconto diviene quindi un altro "strano" racconto Zen, nel quale l’oriente e l’occidente si incontrano, ma soprattutto si scontrano, nell’ingenua inconsapevolezza di un ovvio ma sottovalutato relativismo culturale. E questo, proprio come successe a Jian in Il giorno in cui Jian divenne un Buddha (Bonifati 2016, pp. 65 – 75), ha conseguenze nefaste.
Come ho già detto, il relativismo culturale non è una condanna al non poter conoscere altro se non la propria cultura. Si può sicuramente allargare i propri orizzonti conoscendo ciò che non fa parte del proprio passato. Il problema sorge quando non ce ne si accorge, quando non si tematizzano quei limiti che hanno bisogno di essere notati per essere superati. È questo, a mio avviso, un aspetto fondamentale da ricordare per noi che, occidentali, ci avviciniamo al mondo del Kung Fu cinese.
BIBLIOGRAFIA MINIMA
– Bonifati Mark, Strani racconti Zen. Curiose vicende di uomini e mondi, Kung Fu Life & Streetlib, Torino 2016.
– Dilthey Wilhelm, Critica delle ragion storica, Einaudi, Torino 1954.
– Goethe, J.W. , Faust, Oscar Mondadori, Milano 2012.