DI Mark Bonifati
«Su e giù, vuoto o pien, falso e ver…: questo il mondo fa girar..»
Avete visto i film Rocky III,Rocky V o il Superman III con Christopher Reeve? Parlano di un tema molto caro al cinema marziale: l’eroe caduto che si rialza con impegno e fatica dopo una caduta.
Non nel senso fisico, ovvio: per una qualche ragione egli si allontana dal vero senso dell’arte marziale e solo grazie a qualche evento esterno o qualche fidato amico/maestro può riconoscere la propria deviazione e rimettersi sulla strada giusta. Rocky Balboa che viene sconfitto da un Clubber Lang che ha quegli occhi della tigre che il successo ha tolto allo stallone italiano, oramai «civilizzato» a parere dello storico coach Michey. Ancora in Rocky V: il campione si ritira, va sul lastrico e torna nella vecchia povertà. Proprio qui però incontra un nuovo talento, che allena fino a portarlo al titolo mondiale. È ancora il successo però a far cadere Rocky: il successo del suo nuovo pupillo, che si rivela un buffone, un bulletto da strada. Rocky quindi, dopo essersi allontanato dalla famiglia e dal figlio per allenare questo tizio, nel finale lo batte in un incontro da strada e ritorna ai vecchi sani valori della famiglia.
Nella vita di ogni artista vero e sincero ci sono momenti in cui ci si fanno domande sul vero senso di ciò che si fa.
Questioni che rasentano l’esistenziale, perché per un vero artista non è che la sua arte è la sua vita: è la sua vita che è vissuta artisticamente. «Ma cosa sto facendo? Perché? A cosa serve, qual è il senso di questa cosa nella mia vita?». Non so voi, ma a me capita spesso.
Il Kung Fu è la mia vita, anche se non ne è l’unica componente. La sua percentuale però è molto alta, e i momenti di crisi li soffro molto. Farà parte del movimento yin-crisi/yang-pienezza? Una sera vai in palestra e fai lezione, ti percepisci lento, goffo, impacciato. Non sei soddisfatto di calci, forme, sparring. Nemmeno delle interazioni con le persone, dato che il tuo disagio traspare chiaramente. Cominciano le domande, i dialoghi con te stesso: «Ma perché faccio queste cose? Perché stasera mi sento così? Non sarà forse che è questo che sono, ma di solito non me ne accorgo perché accecato dalla passione? Se io non fossi portato e me ne accorgessi solo in momenti come questi? Forse dovrei smettere…forse sono ridicolo». Magari è vero, ma non è questo il punto.
In quei momenti senti essere caduto, ma non ti senti affatto un eroe. È magari a posteriori che vivi la parabola a là Rocky, quando rinasci e hai la grinta di prima. Le oscillazioni di questo genere hanno un buona parte di fisiologico in ogni ambito.
Pensate al calcio e a Roberto Baggio, uno di quei rari calciatori che possiamo definire anche artisti. «Raffaello Baggio» e «Pinturicchio Del Piero», dicevano. Anche a Michael Jordan, persosi nel baseball e ritornato a stravincere poi con i Chicago Bulls.
Le persone che ci stanno intorno ci sostengono, ma questo è più spesso vero sul piano generale: non tutti possono avvalersi di un amico collega di pratica che può comprendere a pieno e aiutarci a rialzarci. Per chi può, se la persona in questione è davvero speciale dovrete ritenervi fortunati e magari ricordarvi che potrà succedere che dobbiate restituire quello stesso sostegno proprio a lui. O a qualche altro. Più complesso è per chi ha vicino persone che non comprendono fino in fondo la sua crisi. Non possono viverne gli aspetti tecnici e psicologici tipici. Ancora peggio per chi non ha nessuno, certo: ma lì il problema non è tanto la crisi quanto la solitudine, e questa non è la storia che vorrei raccontare qui.
In quei casi credo che ci sia poco da insegnare e tanto da imparare per tutti. Anzi no, non si tratta nemmeno di imparare. È più un’esperienza così straniante e intensa che si lascia solo vivere, che si può certamente rivivere ma non è corretto, secondo me, dire che «si impara» o «si conosce». La prima volta che la si vive è sicuramente la peggiore. O magari per qualcuno no, chissà. Il tutto è molto soggettivo.
Ritornando su un livello meno psicologico e più tecnico, quasi statistico, io credo che qualcosa del genere possa capitare solo a chi vive l’arte fino in fondo.
Bisogna qui assolutamente fare una differenza. Non si tratta del praticante che si è iscritto in palestra per fare qualcosa e sceglie il Kung Fu perché «è fico», ma ad un certo punto gli passa la voglia. Magari non va più per un po’ e poi riprende, ma questa non è la crisi di cui parlavo. In quel genere di vissuto si ha quasi la sensazione di voler riuscire a tornare ad apprezzare se stessi, mentre in quest’ultimo caso è semplicemente che non si ha più voglia. Un rientro dopo un periodo di svogliatezza non è un rialzarsi dopo una caduta più di quanto lo sia tornare ad allenarsi dopo 2 settimane di influenza.
Molto tempo fa, quando facevo gli Scout, il caporeparto una sera chiese a tutti: «perché secondo voi quando siete in crisi e chiedete un consiglio ad un amico, lui vi risponde subito?» Un ragazzo rispose: «perché in realtà non gliene frega niente, ma nemmeno lo sa». Persino in buona fede, dunque, non si rende conto che trova più facilmente una soluzione solo perché non c’è veramente dentro.
Non credo sia sempre così, ma di vero c’è che una comprensione profonda alimenta il dubbio, fa condividere la vera difficoltà che c’è per uscirne. È importante quindi il sostegno di un amico che può davvero capire. Forse per questo esistono gli alcolisti anonimi o roba del genere. Ci vorrebbero gli «artisti marziali anonimi», sempre se con questa espressione non vogliamo intendere i fenomeni da forum che dal nickname sanno tutto. Dietro lo schermo o in generale lontano dalla messa in discussione, siamo tutti anonimi. Non illudiamoci però: non si tratta dei «senza nome», maestri come Jet Li in Hero.