Chi pratica Kung Fu conosce bene la distinzione tra stili interni e stili esterni. A grandi linee possiamo dire che gli stili interni sono quelli che si concentrano sulla gestione dell´energia interna, mentre gli stili esterni esprimono l´arte marziale attraverso le movenze “esteriori”. Esempi di stili interni sono il Taiji ed il Baguazhang, mentre tra gli stili esterni annoveriamo lo Shaolin e l´Hung Gar (giusto per citare un´altra classificazione tra stili del nord e stili del sud).
Tuttavia, ogni stile esterno prevede la formazione relativa al Qi e l´allenamento della gestione dell´energia interna, così come gli stili interni mostrano l´abilità del controllo del Qi attraverso movimenti del corpo ideati proprio per enfatizzare tale attitudine. Sostanzialmente, in perfetto stile yin yang, l’interno è connesso all’interno.
Esistono esercizi di Qi Gong che prevedono l’immobilità del corpo alla ricerca dell’interno più profondo, ma anche in tale contesto l’immobilità richiede un impegno fisico particolare, ossia per una buona esecuzione si devono richiamare attitudini “esterne”.
Esistono stili interni che le cui forme sono caratterizzate da movimenti enegici e repentini utili all’apprendimento della canalizzazione ed espressione dell’energia nelle tecniche.
Sostanzialmente la distinzione tra interno ed esterno è una forzatura.
Chi esegue la forma, l’esercizio o pratica la disciplina è sempre l’essere umano, che non è classificabile in interno ed esterno, bensì è composto dall’unione e dalla coesistenza delle due componenti.
Perché è allora necessaria la classificazione degli stili in interni ed esterni?
Per la mancanza di abilità dell’Occidente a comprendere concetti non totalmente spiegabili con i soli cinque sensi e che di conseguenza sono relegati nel cassetto delle cose non dimostrabili e classificati con l’etichetta “fede“… ci credi o non ci credi.
L’energia interna, il Qi, è il cardine della classificazione tra stili interni e stili esterni e costituisce per l’occidentale la non tangibilità per eccezione. È come l’aria: si sa che esiste perché si sente (soprattutto se manca) ma non si tocca con le mani, non si vede con gli occhi, non ha odore o sapore. Si può percepire interiormente o captare esteriormente osservando un corpo in movimento.
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E allora ecco che la febbre occidentale da classificazione ha contagiato anche il Kung Fu, espressione massima della dottrina orientale, con la netta suddivisione degli stili che nel tempo ha costretto l’arte a rinnegare se stessa.
Ci sono persone che non sanno che il Tai Ji è un´arte marziale e la ritengono una ginnastica curativa, ci sono praticanti di Kung Fu che sostengono di non praticare l’interno o l’esterno, ci sono pseudo-maestri-santoni che utilizzano il concetto di energia per mostrare poteri magici che gli consentono di colpire gli avversari senza toccarli (vedi il Numero 9 di Kung Fu Life).
Il tutto perché in Occidente siamo poco abili ad oltrepassare il confine del razionale per capire, apprendere ed evolvere. Perchè non classifichiamo le persone in esseri predisposti al movimento ed esseri predisposti alla respirazione? Perchè senza uno non può esistere l’altro. Senza interno non esiste esterno e viceversa. Il saluto del Kung Fu, palmo e pugno uniti, simboleggiano proprio corpo e anima uniti e donati a chi si saluta, è la sintesi del Kung Fu, yin e yang, maschile e femminile, interno ed esterno uniti a formare l’unità complessa.
Classificare il Kung Fu in stili interni e stili esterni significa dividere l’inscindibile… è una contraddizione in termini.