Sistematizzazione. Che termine, che paura. Vocabolo al confine tra la tradizione del Kung Fu dei puristi e la rivoluzione delle varie interpretazioni del Jeet Kune Do. Jun Fan Jeet Kune Do, Jeet Kune Do Concepts, Urban Combat Jeet Kune Do, Infinity Martial System (IMS), Mister X´s Jeet Kune Do System etc. Tutti sistemi nipoti di nonno Bruce. Eppure che ironia della sorte: sono proprio sistemi. Ma non si era detto che la sistematizzazione era proprio quello spartiacque che divideva la gabbia della tradizione dalla libertà dell´innovazione? La differenza tra l´interpretare uno stile ed interpretare, anzi essere se stessi? La produzione di massa di praticanti tutti uguali versus il naturale e spontaneo rispecchiamento delle differenze individuali in uno stile unico per ognuno, dato che <<Non conta più il sistema ma la persona>>?
Sto riflettendo molto in merito a questa storia del <<Liberarsi dal Karate classico>>, espressione con cui Bruce Lee intende appunto la liberazione dal pensare per sistemi e tradizioni lasciando invece spazio all’individualità che può adattarsi ad ogni stile. Be water, my friend. E continuo a notare incoerenze e contraddittorietà. Perché se l’Hung Gar è un sistema, dovrei invece considerare il Jeet Kune Do un non-sistema? Perché il primo è tradizionale e il secondo no? Non è presente la sistematizzazione in entrambi? Hung Gar: sistema tra i cui elementi spiccano artigli di tigre, scatti d’anca, uso delle posizioni per generare forza attraverso il radicamento a terra. Jeet Kune Do: sistema tra i cui elementi spiccano lo straight lead, il pugno puro e il trapping. I passi dirompenti della mantide nel Tang Lang e il footwork pugilistico nel JKD. Perché uno è sistematico e l’altro è liberazione dal sistematico?
Vediamo cosa dice la lingua. <<Sistematizzazione>> è il risultato dell’atto del sistematizzare (www.treccani.it). “Sistematizzare” significa <<Ordinare o classificare secondo un determinato sistema>&g; (ibid.). Un “sistema” è <<Un metodo, procedimento, complesso di operazioni (o di fasi di operazioni) con cui si tende a un determinato scopo. […] Più in generale, il metodo seguito nel fare qualcosa: avere, non avere sistema; seguire un s. razionale nell’insegnamento; conoscere, adottare un s. pratico, sicuro, infallibile; fare le cose con sistema, con un certo sistema>> […] <<Complesso organizzato di dottrine, di teorie, scientifiche o filosofiche, in coerente relazione l’una con l’altra secondo un principio unificatore: il s. di Aristotele; s. hegeliano; s. materialistico; il s. geometrico euclideo; s. ipotetico deduttivo, struttura logica delle teorie in matematica e anche in altre scienze, che consiste nel presupporre certe ipotesi (assiomi) e nel dedurre le conseguenze di queste (teoremi); ridurre una serie di teorie a sistema, dare loro un ordinamento sistematico e coerente>>.
Se continuate a scomodare vocabolari ed enciclopedie, sarete sommersi da termini tipo “premesse”, “preconcetti”, addirittura “resistenza all’innovazione”. Tanto uno stile di Kung Fu qualsiasi quanto una delle varie progenie del Jeet Kune Do sono quindi dei sistemi pre-organizzati: insiemi organizzati di elementi (tecniche e principi) che concorrono tra loro volti ad uno scopo (combattere? Difendersi?), che partono da alcuni preconcetti-assiomi (cosa farà il mio avversario) e sviluppano poi delle teorie funzionali (metodi di difesa). Non si scappa: questo Jeet Kune Do è di certo sistematico.
Prendete l’Infinity Martial System (IMS) del maestro Giuseppe De Rosa. Esso fa dell’infinito il proprio mantra, un erede della liberazione dalla tradizione intuita da Lee. Secondo De Rosa il sistema non è infinito perché incompleto, anzi: lo è invece nel senso che è sempre possibile cambiarlo dopo aver sperimentato situazioni diverse. Evolve e non si cristallizza sugli ipse dixit di qualche occhio a mandorla. A dire del maestro, molti sistemi di Jeet Kune Do non sono affatto infiniti perché si sono arenati ai dettami dei loro guru, a partire da Lee fino ad arrivare ai vari Inosanto e Wong. L’IMS evolve invece continuamente sul tappeto e vi giuro: provate a fare una lezione oggi e un’altra tra un anno e vi renderete conto di come De Rosa lavori esattamente in questo modo.
L’IMS è quindi una liberazione dalla via tradizionale della schiavitù dei dettami antichi? Si e no. Si: perché è chiaramente un affrancamento dal modo classico di praticare-obbedire all’occhio a mandorla. No: perché è esso stesso un sistema, e nessun sistema può provare la propria validità dal proprio interno (Gӧdel 1931). L’IMS non è una liberazione che dal sistema va all’individuo, è una liberazione che da un sistema tradizionale e antico va ad uno sperimentale-contemporaneo. Ma sempre di sistema si tratta. I maestri che fondarono l’Hung Gar, a quei tempi avrebbero avuto tutte le ragioni di chiamare “infinito” il loro sistema: vi aspettate che il giorno dopo averlo fatto si auto-imposero: <<Eh, mò questo è e guai a chi lo cambia, nemmeno io posso>>. E invece no: sia loro che i loro discendenti inserirono tecniche, metodi e forme. Solo che lo fecero molto tempo fa e oggi in quei vecchi sistemi non lo fa più nessuno. Sono quindi “morti”, mentre l’ IMS è un sistema vivo perché è attuale, calato nel contesto odierno. Proprio come qualsiasi altro sistema derivato dal JKD e fondato da qualche maestro che ha personalizzato alcuni aspetti.
Ma tutto questo non ha niente a che fare con la de-sistematizzazione che Lee tentava di operare per se stesso. Il punto cruciale di quel tentativo non era però lo smettere di ragionare sistematicamente nel senso dell’abbandonare coerenza, interconnessioni tra gli elementi e metodo razionale e rigoroso di ricerca e studio. Il nocciolo della questione è invece a mio avviso la libertà dell’individuo che lo fa. L’assenza di metodo, coerenza e ragionamento non è de-sistematizzazione né libertà: è caos, anarchia e a questo regno resta consegnato l’ignorante che confonde la propria ignoranza con la libertà di avere il proprio “non-stile”. Ma nemmeno l’infinito è da confondersi con la libertà: esso è possibilità continua di migliorare, di sicuro, ma nel momento in cui a migliorare è il sistema e non il praticante abbiamo già scavalcato quel piccolo unico angolo dove vive il JKD autentico. In questo senso tutti i sistemi discendenti del JKD di Lee sono in realtà ben lontani da averne colto lo spirito, proprio perché sono sistemi. Il Jeet Kune Do, la vostra reale esperienza di esso non si può nemmeno insegnare perché non ha nulla a che fare con i sistemi, infiniti, vivi e moderni o finiti, morti e tradizionali. È qualcosa che è solo vostro, ma non è de-sistematizzazione cieca che genera anarchia e stile dell’ignoranza. È più che altro una relativizzazione dei sistemi, e forse Lee sarebbe stato più preciso nell’usare un termine del genere. In senso einsteiniano: ogni sistema è relativo al proprio essere-in-una-determinata relazione con gli altri e dal proprio interno non può affermare alcuna verità assoluta.
Se imparate ciecamente un sistema da un maestro di tradizionale, state studiando basandovi su pre-concetti tradizionali. Se lo imparate da un innovatore, state studiando un sistema basato sui pre-concetti del suo fondatore, attuale, vivo e sperimentale. Ma tutto questo non è JKD: tra i due casi, la sola cosa che cambia è l’epoca in cui i due sistemi sono stati pensati. E nemmeno il fatto che il sistema contemporaneo sia in continua e infinita evoluzione: a suo tempo, è ragionevole credere che lo fossero anche gli altri proprio perché il fondatore aveva di sicuro carta bianca sul rimaneggiare la propria creazione. No, a mio avviso voi fate Jeet Kune Do se nella vostra ricerca tutto ciò che studiate è relativizzato 1) agli altri sistemi 2) a voi stessi. <<La verità non può essere organizzata senza invalidarla>> (Krishnamurti 1929) non significa che uno può fare quello che gli pare senza sapere nulla. Significa ricordarsi che ogni tentativo di organizzare un certo tipo di verità (il combattimento, la difesa personale) sarà sempre e solo uno dei modi di girare intorno ad essa. Una specie di mappa, che non va confusa con il territorio che va a mappare. Vi aiuta a muovervi, a non perdervi, ma non è la realtà ultima del combattimento. L’ignorante non ha nemmeno la mappa e si muove alla cieca, chiamando Jeet Kune Do la sua parvenza di libertà, che è invece schiavitù dell’ignoranza.
Tutto quello che resterà alla fine è il vostro passo sul territorio. Se sarà libero, non confonderà la mappa con quest’ultimo. E libero non vuol dire de-sistematizzato. E nemmeno infinito. Vuol dire consapevole del fatto che qualsiasi forma di combattimento è solo un pezzo del tutto e il tutto non può esistere senza dell’individuo che vi è calato dentro. L’individuo siete voi e volenti o nolenti sarà sempre prima di tutto con voi stessi che dovrete fare i conti. Non è possibile “fare l’arte marziale del Jeet Kune Do” e tantomeno basare un sistema su di esso. Proprio perchè il Jeet Kune Do autentico è un metodo, non un sistema.