Sanda. 3 fattori che ne impediscono il successo

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Sanda

Il Sanda è il combattimento sportivo del Kung Fu.
Il nome è il risultato dell’unione di due ideogrammi: San, che può essere tradotto in disseminare, spargere e Da, che può essere interpretato come battere, percuotere (esiste una pagina Wikipedia).

Le origini del Sanda, collocate ovviamente in Cina, risalgono alla metà del secolo scorso (1949) e si devono alla necessità di trovare un metodo di confronto tra combattenti provenienti da stili differenti.
Storicamente, nel mondo del Kung Fu cinese, proprio a causa dell’esistenza di molti stili, è ricorrente l’esigenza di definire un metodo di gara collettivamente riconosciuto. Dallo stesso bisogno è nato il Wushu moderno.

A differenza del Wushu, che ha quasi smarrito del tutto le caratteristiche marziali, il Sanda ha conservato la sua natura di arte marziale, ossia di arte applicata al combattimento.
Prevede un regolamento che da vita ad un metodo di lotta decisamente particolare, quasi unico nel panorama degli sport da combattimento mondiali.
Eppure, in Italia, tale disciplina così originale, resta sconosciuta a molti e per niente valorizzata.
Come mai?
Difficile dirlo con assoluta certezza, ma sicuramente ci sono 3 fattori che ne determinano il mancato successo in Italia.

Federazioni in lotta

Una disciplina sportiva si può definire di successo se ha un vasto numero di praticanti e se gode di una buona diffusione sui media.
Quali sono gli sport più di successo in Italia?
Per rispondere basta pensare alle discipline delle quali televisione e giornali trattano maggiormente.

L’attenzione dei media è attirata da ciò che fa audience, ossia dagli eventi che hanno un grande seguito.
Per avere il pubblico sono necessari due elementi: organizzazione e marketing.
In entrambi i settori il Sanda fa acqua da tutte le parti.

In Italia il Sanda è spaccato tra due federazioni: la FIWUK (Federazione Italiana Wushu Kung Fu) e lo CSEN (Centro Sportivo Educativo Nazionale). Per un accordo firmato dalle parti il primo ente ha diritto ad organizzare competizioni di Sanda, mentre il secondo può organizzare solo competizioni di Semi-Sanda.
Esistono altri enti e federazioni che si occupano della promozione del Sanda in Italia, ad esempio la PWKF (vedi l’intervista col suo direttore Gianfranco Russo), ma nessuno ha la forza motrice che servirebbe per portare la disciplina alla ribalta.

Il conflitto, ormai in atto da diversi anni, tra FIWUK e CSEN ha causato il progressivo impoverimento di eventi, competizioni ed iniziative dedicate al Kung Fu, Wushu, Sanda e Tai Ji.
Il tessuto di scuole marziali, non avendo il punto di riferimento di una federazione in grado di riunire le palestre in eventi di valore, si è lentamente sgretolato.
Attualmente, la filosofia è chi fa da sé fa per tre, ossia le varie scuole si organizzano tra loro per creare situazioni di incontro e di confronto che però, date le limitate risorse, non possono avere un’eco vasta.
In questo modo l’arte non può godere di una diffusione efficace.

Un Sanda troppo “Semi”

Avendo la qualifica di arbitro da molti anni mi è capitato spesso di fare il giudice in competizioni di semi-sanda.
Nel tempo ho visto modificare più volte i regolamenti allo scopo di limitare la pericolosità della disciplina.
La soglia del “ciò che è permesso” è stata spinta verso il basso: niente colpi ripetuti al viso, no ai calci al volto, proiezioni ammesse solo se l’avversario non è sollevato al di sopra della linea della vita e continui richiami se l’intensità del combattimento non è mantenuta ad un livello “blando”.

Dando per scontato che l’incolumità dei praticanti è un fattore importantissimo, bisogna considerare che in questo modo si è ridotta al minimo l’attrattiva degli incontri di semi-sanda.
Gli sport da combattimento attirano pubblico in proporzione alla loro spettacolarità.
Caschetti con la grata, corpetti, paratibie, guantoni, paradenti, etc. hanno lo scopo di ridurre i rischi dei combattenti, che però, in quanto tali devono praticare il combattimento.

Il mondo del Sanda ha compreso la necessità di rendere più spettacolare le competizioni e ha anch’esso apportato modifiche al regolamento, però in direzione opposta, ad esempio eliminando paratibie e corpetti.
Ovviamente la disciplina non è più alla portata di tutti, ma gli sport da combattimento non sono per tutti.
Boxe, MMA, Thay Boxe, sono discipline nelle quali si decide di fare l’agonista perché si è attratti dal combattimento (anche duro) e non si temono i rischi. Il Sanda non può fare eccezione.

Un’altro motivo per il quale il semi-sanda è stato limitato è per renderlo praticabile da più persone possibili nella speranza di aumentare il numero di praticanti.
Tuttavia, la speranza è vana.
Per esperienza posso affermare che chi teme il combattimento non si avvicina né al Sanda né al semi-sanda e chi invece sperimenta il semi-sanda con l’intento di approdare al Sanda si trova ad affrontare un gap della modalità di lotta troppo ampio.
Il semi-sanda non prepara al Sanda, proprio per le limitazioni di regolamento che gli sono state apportate.

Arbitri e insegnanti che non praticano

Durante le competizioni di Sanda mi è capitato con notevole frequenza di sentire giudici di gara e insegnanti pronunciarsi con assoluta sicurezza in merito a diversi aspetti tecnici del combattimento.
Ho ascoltato teorie secondo le quali una proiezione è pericolosa quanto un KO, oppure affermare che i praticanti non dovrebbero neanche colpirsi perché dall’atteggiamento con il quale viene portato il colpo si può capire a chi si deve assegnare la vittoria.

Ciò che mi ha sempre lasciato perplesso è scoprire che tali teorie erano sostenute da chi non ha mai praticato Sanda.
Mi sono sempre chiesto come si può essere così esperti di una disciplina al punto da riuscire ad intuire l’effetto di un colpo solo dall’atteggiamento di chi lo porta, senza aver mai praticato la disciplina stessa.

Sanda

Mi sono sempre risposto che non si può.
Non credo sia necessario essere stati degli agonisti per essere insegnanti o arbitri di una disciplina come il Sanda. Tuttavia, sono convinto che bisogna averlo almeno praticato.
Quanti insegnanti di Kung Fu Tradizionale conoscete che non hanno mai praticato il Kung Fu Tradizionale?
Personalmente nessuno. Anzi, ogni maestro che ho incontrato, prima o dopo, ha sottolineato stili praticati, anni di studio e lineage del proprio maestro.

Ho anche un’altra convinzione: in Italia ci sono molti insegnanti validi. Maestri capaci di trasmettere la passione per il Sanda e i valori di un’arte marziale completa e affascinante come il Kung Fu.
Per portare in àuge lo sport da combattimento cinese anche in Italia c’è bisogno di loro e loro hanno bisogno di una federazione adeguata, capace di porre le questioni politiche ed economiche in secondo piano rispetto alla priorità di far crescere il movimento delle arti marziali cinesi, nella speranza che, prima o poi, si conquisti il successo che merita.

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