Sulla diatribe dell´utilitá della corsa nelle arti marziali ci sono diverse scuole di pensiero: noi di Kung Fu Life abbiamo recentemente affrontato il problema sia in maniera scientifica che pragmatica.
Personalmente non la amo e la ritengo un elemento secondario nella routine di un praticante di Kung Fu, tuttavia in Cina nella scuola dove mi sono allenato, ma anche qui in Italia, la stragrande maggioranza dei maestri comincia la lezione con un po´ di running. Credo che il problema sia prettamente pratico, oltre che semantico: per moltissimi fare riscaldamento, o addirittura un vero e proprio allenamento cardio, vuol dire correre, ma non è piú cosí da diversi anni.
Tuttavia, in Kung Fu Gym lasciamo la semantica fuori dal Kung Fu e badiamo al sodo: nella nostra arte marziale capita di correre e quindi cerchiamo di migliorare la nostra corsa: Vi racconto come ho migliorato la mia, sperando che possa essere uno spunto per progredire anche con la vostra.
Anni fa per ragioni extrakungfuiche mi sono ritrovato a dover affrontare una distanza medio veloce (per me naturalmente) ovvero 4 giri di pista olimpica in un tempo per me completamente fuori portata. Reduce da un grave infortunio alla caviglia, over 30, con il lavoro che mi portava via la gran parte del tempo e richiedeva anche ore di studio extralavorative, oltre ad avere poco tempo per il training, la prova finale era fissata in un periodo così vicino da non permettere significativi miglioramenti conseguibili ad esempio attraverso un affinamento della tecnica della falcata o con adattamenti muscolari per quel tipo di distanza.
Insomma ero fregato. Disperato telefono all´amico infognato runner – lo abbiamo tutti ammettiamolo – e gli spiego il problema nel dettaglio. Lui da specialista mi riempie di domande, concentrandosi sulle mie sensazioni alla fine della prova e io gli racconto che non è tanto la pesantezza muscolare ciò che mi frena quanto il fiato… sempre lui, maledetto, è la storia della mia vita. Fatta la sua diagnosi il mio amico mi tiene mezz´ora al telefono in un monologo tecnicamente incomprensibile in cui percepisco il significato di alcune parole in ordine sparso come distribuzione dei pesi, ossigeno, falcata, integratori, diaframma, equilibrio, stretching, atti respiratori, ripetute, tipi di scarpe, polmoni: non ci capisco niente fin dal primo minuto così fermo il suo delirio nozionistico ed involontariamente saccente per chiedergli qualche semplice trucchetto per un runner profano. Mi spiega che la tecnica più collaudata, anche da lui agli inizi, è quella del 3 2, un´elementare metodologia che ritma la corsa e gli conferisce equilibrio inspirando per 3 falcate per poi espirare più velocemente e forzatamente nelle successive 2: tutto ciò al fine di immagazzinare più ossigeno rispetto a quanto ci voglia per espellerlo e "girare" il surplus dove se ne ha più bisogno.
Sono entusiasta e soddisfatto, ringrazio per il consiglio peraltro davvero facilissimo e provo sulla pista le sue parole. Facile sulla carta naturalmente, dato che riesco dopo qualche allenamento a dare continuità, ma poi col sopraggiungere della fatica sragiono, perdo la cadenza e comincio letteralmente a dare i numeri, una volta addirittura sono andato in iperossigenazione e ho avuto capogiri per un’ora abbondante: tutto questo per 5 o 6 sedute. Passano un paio di settimane in cui non miglioro e anzi ho la netta sensazione di essere regredito; continuo a concentrarmi troppo sul contare i passi ma perdo i riferimenti acquisiti nelle settimane precedenti. In costante contatto con il mio amico runner mi confido raccontandogli i miei fallimenti e lui che non sa come aiutarmi essendo lontano, sconsolato mi dice di non demordere e di sentire con il mio corpo e trovare il mio modo per correre più veloce e più a lungo.
Dopo vari allenamenti e prestazioni altalenanti infine ci riesco, un po’ sbattendoci il naso e un po’ ascoltando l’istinto e un po’ per fortuna: faccio letteralmente il cambio di passo ragionando non più come previsto teoricamente sulle falcate che naturalmente variano a seconda del ritmo e del momento della gara, bensí sui secondi, che son fissi ed immutabili: 3 secondi per immagazzinare ossigeno e un po’ meno – 2 e mezzo circa – per buttarlo fuori. Ripeto un paio di volte questa modifica e su di me funziona. La prova è alle porte e grazie anche all’adrenalina della competizione ed i riferimenti di avversari, ma soprattutto alla respirazione, imbrocco un tempo di 37 secondi migliore al mio precedente best: sono incredulo e sbigottito per avere oltrepassato i miei limiti e non di poco. Racconto per citare il grande Lucio Dalla la mia "Impresa eccezionale" al mio amico il quale è già convinto di aver tirato su un nuovo runner, ma gentilmente declino, il mio grande amore l’ho già trovato ed è il Kung Fu.
Continuo a non amare la corsa, a non capirci niente e a non volerla inserire se non sporadicamente nei miei allenamenti, ma ho trovato un mio metodo, riadattandone uno ufficiale, relativamente semplice e che mi permette di correre più veloce e più a lungo.
Se avete voglia provatelo anche voi e se non vi va bene cucitelo a misura delle vostre predisposizioni, sulla base dei tempi di allenamento e della passione che ci metterete. Trovate la vostra strada e percorretela di corsa nel più breve tempo possibile.
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