L´alternanza del giorno e della notte, quella delle stagioni, della luce e dell´oscurità. Il fluire degli elementi, la complementaritè tra acqua e fuoco, ghiaccio e magma, freddo e caldo. E l´alto e il basso, il grande e il piccolo, il bianco e il nero. L´amore e l´odio, il bene e il male, la vita e la morte. Lo spazio ed il tempo, e lo spazio-tempo. L´infinitamente piccolo e l´infinitamente grande, i bosoni di Higgs e le galassie, il Big Bang e il Big Brunch. La quiete e la velocità, e poi la relatività speciale.
Tutto è relativo, tutto è relativo. Se tutto è relativo, la frase <<tutto è relativo>> deve essere anch’essa relativa. Ma se essa è relativa, contraddice sé stessa sia da un punto di vista logico (in quanto è appunto un’affermazione assoluta perché riguarda il <<tutto>> e quindi ogni cosa) sia dal punto di vista semantico, perché l’assoluto non è relativo per definizione. Come la si risolve? Possiamo provare sostenendo che l’affermazione che <<tutto è relativo>> si applica a tutto meno che a sé stessa. Non capiamo però sulla base di cosa essa godrebbe di un tale status speciale: ha pagato qualcuno? Ha creato essa il mondo? Sarà mica proprio lei quel <<Verbo>> di biblica memoria, da cui tutto ebbe inizio? Non c’era nulla e Dio decise di creare il mondo. E Dio era il Verbo, e per la precisione il verbo <<essere>> di una frase particolare: tutto è relativo. E il <<tutto>>? E il <<relativo>>?
Sul tutto siamo a posto: Dio è, ma è anche il tutto. Panteismo, taoismo, panenteismo e chi voglia si aggiunga alla lista dei seguaci del tutto che è e che è ovunque, sempre e comunque. Ma sul <<relativo>>? Ciò che si diede prima di ogni cosa e come unica cosa, si diede già come relativo? A cosa? A niente, se non c’era niente. Ma se una cosa è relativa a niente, è assoluta. A meno che il relativo sia proprio quel nulla che è relativo verso il tutto, assoluto. Tutto e niente, Essere e Nulla, assoluto e relativo. Il buon taoista interverrebbe e direbbe che se c’è il Logos, il discorso, vuol dire che la prima divisione è già avvenuta e quindi non siamo più in presenza di quell’Uno che cercavamo. Anzi: proprio cercandolo lo abbiamo perso perché lo abbiamo pensato, concettualizzato, e il Tao non sopporta altro che se stesso.
Ci provò Russell a creare la classe delle classi che non sono membri di sé stesse (1910 – 13), ovvero categorie di enunciati che non possono applicarsi a se stessi. Però qui non stiamo parlando del metalinguaggio del paradosso del mentitore, ma proprio di ciò che si dà come tutto, come ogni cosa. Insomma: se si tratta di una meta-classe russelliana, il concetto di meta-classe deve in qualche modo essere già disponibile e invece stiamo dicendo che il Tao del <<tutto è relativo>> è ciò che si diede prima di ogni ente. In barba addirittura all’antimateria. No, non può essere una meta-classe. Non può essere niente, anzi, perché è tutto. Di esso si può solo tacere: se ne parli è già qualcosa, e la prima emanazione neoplatonico-taoista è già avvenuta.
Ed eccoci: Yin e Yang. Per poter comunicare, dobbiamo dunque necessariamente tradire il Tao: di esso in quanto tale non si può comunicare perché a stento possiamo pensarlo, figuriamoci raccontarcelo. Una volta che comunichiamo, siamo già in mezzo ai diecimila esseri e quindi tra tutte le loro contraddizioni, complementarità e cicli equilibrio/squilibrio del divenire. Una cosa però è certa e nient’affatto relativa: comunichiamo. In qualche modo interagiamo. Tra contrari contraddittori e contrari complementari, Yin e Yang si trovano ad essere uno relativo all’altro ma non è relativo il loro equilibrio dinamico. Se andiamo oltre a cercare il Tao, non troveremo nulla perché non è possibile porsi aldilà della relazione alle cose che si esperiscono. Per esperire, devi relazionarti, essere-altro-da ciò che esperisci. Con buona pace di chi non fa la tigre ma si sente tigre e da chi non imita l’energia del drago ma è egli stesso il drago, né tigri né draghi vanno in giro a reclamare energie e questo già li rende profondamente diversi da noi. Che appunto: siamo umani. Altro-da tigri o draghi.
Insomma: nel mondo del relativo si arriva fino a un certo punto, e poi bisogna trovare qualche appiglio. L’assoluto richiederà comunque il suo dazio: se pretendiamo che esso non esista, che tutto sia relativo, semplicemente si imporrà attraverso l’incomunicabilità. Se invece siamo noi a mettere il paletto, allora sappiamo anche da dove siamo partiti.
Yin e Yang: l’equilibrio degli opposti. Dove? Arti marziali. Kung fu. Per cosa? Troppe volte sento dire cose tipo <<si, alla fine anche noi facciamo così, siamo tutti alla base di una montagna ma tendiamo alla stessa cima>>. Non ci credo granché: è un modo cortese per bypassare le differenze, che esistono e sono mal sopportabili. Bisognerebbe invece cavalcarle, sopportarle e per far questo si dovrebbe anche solo sospettare che non esiste un solo modo di fare una cosa, che in questo caso è l’arte marziale.
Se sappiamo cosa facciamo e dove abbiamo messo i piedi, è più semplice piantarla di relativizzare qualsiasi cosa. Ovvero: cosa sia un’arte marziale è una cosa piena di sfaccettature, molteplice e complessa. Ma non è relativa in assoluto: se no ricominciamo d’accapo.