«Due tigri non possono condividere la stessa montagna»: è più o meno quello che dice Lun Yan al monaco silenzioso nel film The forbidden Kingdom, una interessante pellicola del 2008 che mischia azione, arti marziali e fantasy. E visto che Lu Yan è interpretato da Jackie Chan e il monaco silenzioso da Jet Li, c’è anche una buona dose di humor. Dunque Jackie ci restituisce in salsa orientalistica il detto occidentale secondo cui due galli non possono stare nello stesso pollaio. Questa tinteggiatura filogenetico/evolutiva che sta alla base delle teorie etologiche sulla supremazia nel branco dell’elemento maschio alfa si sta riferendo, nel film, ad un clichè del Kung Fu Tradizionale. Le due tigri sono metafora di due maestri che si contendono la proprietà di una montagna: uno stesso allievo. Due diversi maestri di Kung Fu non possono avere uno stesso allievo.
Nel panorama tradizionale si definisce Tudi un praticante investito dal proprio maestro del ruolo di discepolo, ovvero un allievo appartenente alla cerchia di eletti più vicina ad esso. Essi imparano lo stile senza segreti: il maestro non tiene nulla per sé, insegna tutto ai suoi “figli”. Sembra che un vincolo del Tudi sia proprio quello di dover essere la montagna di una sola tigre: egli può imparare soltanto dal maestro che lo elegge tale. Come a dire: <<da me imparerai tutto, avrai tutta la conoscenza dello stile, a patto che tu non ne pretenda altra da qualcun altro e non la fornisca a tua volta a qualcun altro senza il mio consenso>>.
Riporto un aneddoto a cui potei assistere durante la mia permanenza di studio in Cina. Completamente immersi in lunghe giornate di allenamento, la sera c’era sempre modo di respirare aria di valori autenticamente tradizionali. Eravamo guidati da un famoso maestro italiano, instancabile ricercatore e profondo conoscitore del Kung Fu tradizionale. Da buon ricercatore, egli viaggia in lungo e in largo per l’oriente alla ricerca dei maestri più preparati. È allievo di un vero pezzo grosso dello stile Wuxing Tonbeiquan, di cui è il primo discepolo in assoluto. Questo maestro ci raccontò di come il suo maestro fosse tradizionalista ma di ampie vedute e soprattutto di animo buono: ai suoi dubbi sulla possibilità che il Gran Maestro potesse offendersi perché ricercava ulteriori conoscenze altrove e con altri, quest’ultimo aveva sempre risposto incoraggiando il suo Tudi a ricercare sempre di più in completa tranquillità. Per questo autentico professore del Kung Fu non c’era quindi problema a solcare la stessa montagna affiancando qualche altra tigre. Trovo questo atteggiamento del tutto appropriato e assolutamente preferibile all’idea che Lu Yan aveva della didattica marziale.
Prima di tutto, quando parafrasiamo e diciamo che due diversi maestri non possono avere lo stesso allievo, quell’”avere” presente nell’affermazione non può essere inteso nella funzione di possessione che il verbo può logicamente assumere. O meglio: questa funzione deve essere contestualizzata bene. Quando si dice ad esempio <<Francesca ha la chitarra>> si intende dire che essa possiede l’oggetto in quanto oggetto e la frase è di per sé irriducibile ulteriormente. Ma dicendo <<Francesca ha un cugino>> non intenderemo dire che suo cugino è di sua proprietà. La frase in questo caso esprime una relazione del tutto simmetrica: non è <<Francesca ha la chitarra/la chitarra “è avuta”/posseduta da Francesca>>, ma piuttosto <<Francesca ha un cugino/suo cugino ha Francesca (come cugina)>>. A parte metafore sui musicisti romantici posseduti dal demone artistico, non è vero che la chitarra possiede Francesca: la relazione non è simmetrica. La frase sul cugino è infatti ancora riducibile a <<Francesca ha una persona come cugino>>. L’uso del verbo è quasi ausiliare, più che di mera possessione. Inutile sarebbe affermare <<Francesca ha la chitarra come oggetto>> perché ogni chitarra è un oggetto ma non ogni persona è un cugino: la proprietà è nel primo caso del tutto intrinseca ed è quindi inutile ridurre ulteriormente la frase.
Questo accenno di filosofia del linguaggio voleva semplicemente riflettere su cosa possa significare avere un allievo. Il maestro non possiede un allievo come un oggetto ma possiede una persona come allievo. Coerentemente, infatti, vale la simmetria per cui l’allievo possiede una persona come maestro: <<il mio maestro, io ho un maestro>>.
La relazione si rivela, almeno a livello di analisi logica, perfettamente simmetrica. Non si vuole quindi intendere l’avere un maestro come dalle mie parti si diceva una volta a proposito dei figli: <<a chi appartieni?>>, si chiedeva. Espressione oramai del tutto fuori uso e denotante una obsoleta visione monarchica della famiglia leddiana del padre padrone. <<Non avrai altro Dio all’infuori di me>>: la relazione con il Dio biblico è assolutamente asimmetrica. Provate a dire a una Santa Inquisizione medioevale che siete voi a possedere Dio. In definitiva, quando dico %lt;<il maestro X mi ha come allievo>> intendo necessariamente anche dire che <<io ho un maestro di nome X>>. Non dico che egli mi possiede. Se lo dico devo sottintendere, per conservare la simmetria della relazione logica, anche che io possiedo lui. Egli deve avere quindi per me lo stesso rispetto che io ho per lui.
Eppure esistono ancora maestri biblici, che non a caso si percepiscono divini. Qui &quto;tradizionale” fa un po’ troppo rima con “medioevale” e questa Santa Inquisizione decapita la libertà del praticante. Una corte, curiosamente, “marziale”. In un mondo globalizzato, che ha scoperto la scienza interdisciplinare dei sistemi complessi, che senso ha sostenere che si debba pretendere solo un genere di conoscenza? Quante guerre “di religione” ci vorranno ancora per accettare la tolleranza e la libertà di fede e conoscenza dell’individuo? La chitarra sarà sempre una chitarra, ma un cugino non è solo un cugino: è anche un figlio, un fidanzato, etc. Magari è anche un allievo. Perché, se egli non può possedere la sua fidanzata in maniere quasi maomettane, permettiamo che il suo maestro possa possederlo non come allievo ma come persona? Quanti altri esistenzialismi, ’68, suffraggette, Martin Luther King e Malcom X dovranno avvicendarsi anche per noi marzialisti per capire che conoscere non è un peccato, ma sintomo della libertà e crescita inalienabile dell’individuo?
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