Il rumore di uno schiaffo sulla faccia rimbomba nello scenario di una palestra la cui aria odora di gomma, spugna e sudore. Aria viziata, bagnata, con quel sapore di duro allenamento tipico delle arti marziali e degli sport da combattimento.
L´allenamento consiste di uno sparring a coppie, il sonoro di pugni, schiaffi e calci lanciati contro il corpo dell´avversario non può stupire granché i presenti: d´altronde fa parte del gioco.
Eppure qualcuno si gira: gli allievi meno esperti, i neofiti, volgono lo sguardo nella direzione da cui proviene quel sordo rumore di schiaffo infrantosi sul viso. Di chi? Del loro insegnante. Osservano stupiti, con gli occhi di chi cerca delucidazioni e spiegazioni sull´accaduto: è normale che il maestro venga colpito? Non dovrebbe essere il più forte, il più tosto, intoccabile? Sarà un segno di debolezza? Una prova del fatto che questo corso non è di qualità?
Sarà… ma chi viene colpito? Il Maestro o il maestro?
Prima ipotesi: figlia di una forma mentis tipica delle arti marziali tradizionali che poco condividono con gli sport da combattimento. Schiaffone in viso al Maestro. Proprio a lui, che di solito non riporta alcun colpo, ferita, graffio durante gli allenamenti. Gente che esce con un dente rotto, un po´ di sangue dal naso, un labbro tagliato ma lui niente, integro. La rarità del caso rende il tutto imbarazzante e quasi irreale: sarà successo davvero? Probabilmente il Maestro non sta molto bene, forse qualche linea di febbre. L´alibi non lo salva dal disagio imbarazzante dell’aver per un attimo perduto la propria aura di intoccabilità: sorrisino accennato, lieve sudorazione, mix di scuse verbali. Lo sguardo di tutti i presenti interroga ora lui, ora i compagni, ora semplicemente l’aria o il terreno: come interpretare il tutto? Cosa è successo? Sarà il caso di cambiare corso perché il Maestro ha dei limiti? Forse perché stiamo cercando di diventare come quei tipi fighissimi che si difendono senza nemmeno lasciarsi sfiorare?
Seconda ipotesi: imparentata con il metodo di allenamento degli sport da combattimento, che ad un certo punto prevedono sparring libero. Schiaffone in viso al maestro. Alcuni volti si girano, quelli dei principianti. Interrogano il maestro, ma lo ritrovano sempre e continuamente intento nello sparring con lo stesso abile allievo che lo ha colpito. Altri non fanno una piega: si tratta di chi sa bene cosa succede in un allenamento e quindi non vive il tutto come un’eccezione. Lo sguardo del neofita incontra quello smaliziato dell’esperto, che gli rimanda indietro una sorta di <<Perché ti sei fermato?>>, quasi non comprendendo il motivo di tanto stupore.
Prima ipotesi (2): l’imbarazzo generale diventa una spiegazione, un tergiversare continuo, un impasse. Per la prossima volta bisognerà fare attenzione, non è il caso di cadere nuovamente in situazioni spiacevoli di questo genere. Basterà non tirare troppo lo sparring, così da non prendere colpi. Fare le “applicazioni” in maniera singola, colpo per colpo, con colpi prevedibili e standardizzati sullo stile che si pratica. Poi basterà aumentare tantissimo la velocità della dinamica allievo-che-attacca/Maestro-che-si-difende e tutti dall’esterno non vedranno altro che un tizio velocissimo che viene attaccato e tira subito giù il malintenzionato. Un tizio che però, nel corso del tempo, ha insegnato al proprio allievo non tanto ad attaccare, quanto ad attaccare in un certo modo per poter lui poi rispondere in un altro. Tutto, e quasi inconsapevolmente, prestabilito. Frutto di anni di convenzioni, ritmi interi e costanti. Come un metronomo, di cui regoli la cadenza e potrai poi immaginare quando arriverà esattamente il 50esimo rintocco solo ascoltando i primi dieci, prendendo quel ritmo e contando poi fino a 40. Ma niente rischi: la velocità del Maestro è l’unica cosa che la gente vede e quindi se la beve allegramente.
Seconda ipotesi (2): <<Grazie>>. Un grazie del maestro al proprio allievo per averlo appena colpito. Beh, per essere precisi non è proprio un <<Grazie>> proferito verbalmente. È più un’atmosfera di gratitudine per il contributo che quel bravo allievo sta adesso dando alla crescita marziale del proprio insegnante. Non c’è nemmeno il tempo per proferire granchè perché lo sparring continua. Il maestro accelera e ad un certo punto sottomette il proprio allievo, essendo riuscito a capire la causa del proprio errore da cui è nato l’ottimo colpo del discepolo. La capisce, la volge a proprio favore, adatta il proprio metodo di combattimento alla situazione.
Il Maestro: figlio della tradizione del tipico insegnante cinese che può annullarti senza nemmeno toccarti. Non ti fa nemmeno avvicinare, figurati se puoi colpirlo.
Il maestro: figlio del realismo marziale imparentato con gli sport da combattimento. Dopotutto persino Tyson, Alì e Bruce Lee nei propri film, icone del guerriero per eccellenza, non hanno mai concluso un match senza aver preso nemmeno un graffio. Se vai a fare la guerra devi mettere in conto che perderai molti soldati delle prime linee. Essi stessi sanno che quasi sicuramente non ce la faranno, che saranno solo degli apripista, l’antipasto del banchetto finale.
Negli anni 90 imperversava nelle sale giochi il videogame Streetfighter. Persino in un gioco, per natura incline a creare miti e personaggi perfetti, ideali, modelli vincenti per i giovani, veniva considerata un’eccezione finire un combattimento senza nemmeno un graffio. Quando accadeva una voce sussurrava <<You win, perfect!>>, perché la linea della vita era del tutto integra. Si vada oltre: anche lì si combatteva per round e trionfava chi ne vinceva due. Al meglio di tre, insomma. Vuol dire che non solo era considerata un’eccezione fare "perfect" e che quindi fosse normale riportare ferite in combattimento, ma che era possibile che il vincitore avesse anche perso un intero round. 2 a 1, ma si è persa la battaglia per vincere la guerra. Si è dato il pedone in pasto alle torri per fare poi scacco matto con la regina. Si è lasciato morire un prugno per far fiorire il pesco.
Ci si è lasciati da parte l’orgoglio del Maestro e si è scelto il coraggio del maestro. Il coraggio, però, anche dell’eventualità di non essere capito: thank you for punching.
2 risposte
Stupendo articolo, spunto di grandi riflessioni!!!! Complimenti!!!!!