Estratto dell’articolo di Chiara Manzini.
Puoi leggere l’articolo completo sul Numero 4 di Kung Fu Life.
La spada e la seta è un bellissimo libro dell’autore statunitense Mark Salzman.
Lo scrittore all’inizio degli anni ’80 si reca in Cina, insieme ad altri quattro amici, per insegnare l’inglese nella Facoltà di Medicina di Changsha, nello Hunan, grazie ad un progetto di cooperazione dell’università di Yale con la Cina.
La storia, autobiografica, racconta di come questo straniero alto, biondo, con gli occhi azzurri e appassionato di arti marziali viva due anni in quel mondo ancora molto chiuso e piuttosto arretrato che era all’epoca quella parte dell’Oriente.
“Improvvisamente, dopo aver visto un film per la televisione intitolato Kung Fu, avevo capito che tutto quello che avevo sempre desiderato erano la pace della mente e una testa rapata.”
Così inizia il racconto, con un ragazzino di tredici anni che rimane tanto affascinato da questa arte marziale e dalla cultura cinese da iscriversi ad una scuola di Kung Fu, dedicandovi tutto il suo tempo, arrivando addirittura ad andare a scuola a piedi nudi nella neve per allenarsi e farsi chiudere, privo di sensi, nel cimitero dal suo maestro per “imparare a morire bene”.
Ho letto questo libro diverse volte e ogni volta si rivela una lettura piacevole e divertente.
Per un praticante di arti marziali poi si possono trovare diversi spunti interessanti nell’esperienza diretta che ha vissuto l’autore.
Ad esempio M. Salzman nel racconto spiega che la parola wushu in cinese indica tutte le arti marziali praticate in Cina, comprendendo tutte le discipline di combattimento armato e non armato.
Quello che erroneamente in Occidente definiamo Kung Fu in realtà è “l’abilità che trascende la bellezza superficiale”.
La spiegazione che gli viene data è, infatti, che “una persona che pratica le arti marziali con una tecnica esteticamente valida ma senza potenza non ha gong fu, allo stesso modo in cui, per esempio, un calligrafo , il cui lavoro, pur non essendo bello da vedere, riflette un gusto severo e deciso, certamente ha gong fu”.
Un’altro episodio che ritengo degno di nota è quello in cui durante un allenamento con uno dei suoi maestri, l’insegnante Hei, Mark confessa di sentirsi a volte confuso sul motivo per cui pratichi il wushu, dal momento che non ha intenzione né ha mai avuto occasione di partecipare ad uno scontro. Il maestro gli risponde che non è necessario essere picchiatori per amare il wushu, altrimenti si potrebbe fare il soldato. Invece, prendendo una lancia e maneggiandola gli dice: “Guardi questa. Crede davvero che abbia qualche utilità pratica nel nostro secolo? […] Ormai è un oggetto di valore culturale, non un’arma. Ma dovremmo per questo buttare via tutte le nostre lance, e con quelle la tecnica e l’abilità con cui abbiamo imparato ad usarle? Io non credo. Mi sembrerebbe uno spreco.”