Il Kung Fu in Italia potrebbe essere annoverato tra gli sport minori. Potrebbe, ma in realtá non lo è… né uno sport, né appartenente a quelle discipline definite "minori". Ecco perché…
Lo sport nel bel paese è il calcio. Sul pallone sono puntati i riflettori dei media e i soldi degli sponsor. Poi esistono alcuni sport che nel tempo sono riusciti a ritagliarsi uno spazio dignitoso nelle passioni degli italiani e nei budget degli investitori. la Moto GP, l’automobilismo, ultimamente il basket, poi il nuoto, la boxe, il ciclismo.
Un passo indietro arrivano gli "sport minori", quelle discipline sulle quali si punta un faro solo in occasioni speciali, come le olimpiadi o i mondiali di specialità, ma superato il momento le luci si spengono e le suddette discipline tornano ad essere "amatoriali" o per appassionati. Ginnastica artistica, rugby, hockey e… Kung Fu?
No! Il Kung Fu in Italia non ha l’onore della cronaca in occasione di olimpiadi o mondiali, non gode di un proprio momento di notorietà e non è soggetto agli sguardi curiosi di un pubblico occasionale. Il Kung Fu in Italia è sempre e solo per addetti ai lavori. Perché?
Perché in Italia non esiste un movimento Kung Fu in grado di coinvolgere e riunire i praticanti e gli appassionati. Non c’è una massa critica che possa attirare l’attenzione di pubblico e sponsor.
Le discipline marziali di origine cinese sono per DNA, ma più per natura dei praticanti e soprattutto dei "maestri", separate in tante tessere di un mosaico del quale non si riesce a distinguere il disegno.
Il confronto tra stili è una peculiarità del Kung Fu dalla notte dei tempi ma noi l’abbiamo resa lo scopo della pratica. Siamo preoccupati di distinguerci gli uni dagli altri più che occupati a diffondere l’arte per farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto. Ed è un paradosso. Abbiamo i "maestri" che muoiono dal desiderio di notorietà per essere i soli e gli unici insegnanti riconosciuti dal super maestro cinese di stile e tale bramosia li porta a distanziarsi dagli altri praticanti considerati inferiori, si evita il confronto sano ed aperto preferendo barricarsi dietro i <<Loro non fanno il vero stile… noi sappiamo davvero come si fa…>>.
Tale atteggiamento conduce alla separazione e settorializzando l’arte diventa difficile creare un movimento in grado di promuoversi e senza un’adeguata promozione è difficile attirare nuovi praticanti. Il paradosso sta nel fatto che con un numero ampio di praticanti, magari crescente, anche gli insegnanti desiderosi di riconoscimenti potrebbero contare su un pubblico sempre più vasto ed avere maggiori probabilità di creare scuole più grandi che facciano da cassa di risonanza al loro nome. In definitiva la bramosia di notorietà causa l’anonimato…
Note dolenti anche in ambito di federazioni: non esiste una federazione del Kung Fu degna di fiducia da parte dei praticanti e soprattutto in grado di creare un vero settore Kung Fu in italia. Fino a qualche anno fa esisteva la FIWUK (Federazione Italiana Wushu Kung Fu) che ha vissuto un periodo di crescita purtroppo culminato in un grosso fallimento di intenti per motivi politici ed economici. Esistono altre federazioni o "settori arti marziali" all’interno di realtà più estese, come ad esempio all’interno dello CSEN (Centro Sportivo Educativo Nazionale), tuttavia al Kung Fu in Italia manca un concreto riferimento organizzativo. Non possiamo contare su grandi eventi o competizioni che di anno in anno vedano incrementare l’afflusso di pubblico, ed è un peccato perché attorno all’universo Kung Fu la curiosità dei non addetti ai lavori è viva.
Grazie anche ai numerosi film nei quali l’arte marziale cinese compare da protagonista o comparsa – non ultimo Kung Fu Panda che ha contribuito a far entrare arte e stili nelle camerette dei bambini – "Kung Fu" non è più soltanto un termine col quale identificare Bruce Lee, bensì una disciplina che molte persone hanno voglia di scoprire. Sta a noi praticanti dar loro la possibilità di farlo. I movimenti migliori sono quelli che nascono dal basso spinti da un’obiettivo comune; servirebbe però cominciare a capire che a voler essere gli unici e i soli si rischia di diventare generali senza esercito.