Kung Fu e logica biblica dei sacri eredi "unicogeneti"

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forme kung fu pergamena«TaoLu», «Kata», «Jurus»: le «forme». Una delle più grandi differenze esistenti tra le arti marziali tradizionali e gli sport da combattimento. Kung Fu e Karate da una parte, Muay Thai e Boxe dall’altra, e al confine discipline come il Krav Maga e il Jeet Kune Do, che non contemplano forme ma nemmeno il ring. Argomento dei più ostici da affrontare anche con il più neofita dei principianti, quando vi chiederà «ma perché devo fare questo movimento, a cosa serve?». E cosa gli risponderemo? Cosa gli risponderanno i guru che hanno ereditato il sacro stile del Maestro X, giunto grazie a lui dai secoli nei secoli e preservato assolutamente nella maniera più pura?
La domanda cela molti più problemi di quanti ne risolva. Non si fa del male a nessuno, fino a che non si dice al nostro allievo che quei movimenti lì servono per difendersi e che magari sono più efficaci dei tre pugni del pugile. Quando da quest’ultimo egli si prenderà una batosta leggendaria, o peggio: quando un malintenzionato lo riempirà di botte cosa aggiungeremo? Sarà fin troppo semplice abusare del ruolo di guru raccontandosi che il tutto è dipeso dalla non sufficiente abilità dell’allievo. Che se fosse stato lì il Maestro, le cose sarebbero andate ben diversamente. Dopotutto, perché un sistema di combattimento che ha attraversato indenne gli oceani del tempo dovrebbe fallire? Non fu codificato da grandi e leggendari guerrieri?. Ed è proprio quello il problema: fidarsi troppo delle leggende. Ma anche appurando che esse siano veritiere e che lo stile sia davvero quello che una volta fu, non è per niente saggio pensare che l’unica variabile per deciderne l’efficacia sia il suo corso nel tempo. Cosa significa veramente che esso è giunto fino a noi? I guerrieri come lo usavano? Quali erano le condizioni sociali, storiche, tecnologiche, antropologiche su cui lo stile venne codificato? Quali erano, come erano gli avversari contro cui esso mostrò la propria efficacia? Che genere di sistema di combattimento avevano?

Sherlock holmesIl purismo estremo è chiaramente riduzionista: «perché dovremmo pensare che il Kung Fu Tradizionale abbia bisogno di essere diverso, se fu creato da chi davvero fece la guerra? Altro che noi, uomini in tempi di pace». In effetti la constatazione può turbare un po’, come Sifu Iadarola insegna.
E quindi le forme: enciclopedie di tecniche mortali. Se un Maestro X di stirpe cinese, degno erede dell’erede dell’erede del fondatore dello stile, dice che siamo suoi eredi, cosa ci autorizza a dubitare di noi stessi?
Nella corrente tradizionalista di stampo autenticamente purista esistono almeno due scuole di pensiero a proposito delle forme. Una sostiene che delle forme bisogna cogliere non le tecniche ma i principi. Di conseguenza nel momento in cui si applicano i loro movimenti bisognerà interpretarli a seconda della situazione: avversario più alto o più basso, più forte o più veloce, molto abile o grossolano. Ma anche posizione più chiusa per avere coperti i genitali, braccia più alte per evitare colpi al viso, etc. La seconda corrente è quella che dice: «no, lo stile arriva da noi così e si deve fare così. Io faccio come dice il mio maestro e voi fate come dico io». Se io sono cintura nera dello stile X e qualcuno me le dà di santa ragione, due cose sono possibili: o non sono abbastanza bravo io, o il metodo che uso non è stato all’altezza. Ma lo stile non si discute: l’hanno fatto i grandi guerrieri secoli e secoli fa. Quindi sono io il problema: bisogna che io mi alleni di più, se ci fosse stato il mio maestro avrebbe fatto a fette il malcapitato.
Un po’ di logica insiemistica:
IMM1Protagonista indiscusso di tutte e due le figure è lo stile. In figura 2 abbiamo però la possibilità di un’interpretazione plastica dei movimenti grazie al fatto che i principi li “filtrano” per diverse applicazioni. Si ha una quindi funzione multivoca (polidroma) e non più una corrispondenza biunivoca, che nella figura 1 faceva corrispondere ad un elemento di un insieme uno e uno solo elemento dell’altro insieme. Adesso l’analisi si rivela complessa perché le relazioni tra i due insiemi sono complesse.
Sono due figure che, a mio avviso, ben sintetizzano la visione purista del praticante del tutto tradizionalista, che al centro del proprio studio pone lo stile e i propri maestri. Infatti nelle figure c’è spazio per principi, movimenti e applicazioni, che sono esattamente le cose che essi studiano a fondo. Guardiamo ora quest’altra figura:
schema stili principiDal terreno punto di vista di un praticante che non ambisce ad ereditare alcuna Bibbia o Corano, questa è una figura molto più complessa e adatta alle caratteristiche di un reale uso del Kung Fu in difesa personale. Le ragioni sono le seguenti:
– si tratta di una dinamica circolare e non di una figura statica come le altre due. Cosa ancora più importante: si parte dallo stesso punto a cui si arriva: la realtà, che è la vera madre dei principi (e non lo stile).
– la figura comprende una variabile che non appare nelle altre due: l’individuo praticante. O meglio: nelle altre due figure esso era soggiacente allo stile, era colui che lo praticava e lo applicava. Qui adesso abbiamo che esso è ben visibile perché non vi scompare dietro. L’uomo è quindi variabile esterna allo stile e mai interna e/o soggiacente ad esso. È lui e solo lui la variabile che si rapporta immediatamente da vicino alla realtà: quando dovrà difendersi non ci sarà il nome dello stile, il suo maestro o le applicazioni, ma solo lui e la realtà (frecce rosse).
– parimenti i principi: essi non appartengono allo stile in sé, ma gli sono esterni. Fanno parte della realtà. Equilibrio, forza, cedevolezza, forza di gravità, forze centripete e centrifughe, automatismi e apprendimenti espliciti, leve. Sono variabili che non dipendono dallo stile. Esso le interpreta (frecce blu) e dà origine ad un sistema, ma i principi sono esterni ad esso e non vengono creati all’interno di esso.
Insomma: se non riesco ad essere efficace, il problema potrei sicuramente essere io, cioè la variabile «artista marziale» solo quando essa è contemplata dalla mia logica. Ma se essa non compare nemmeno, perché nel momento in cui l’applicazione fallisce gli si vuole dare la colpa? È evidente: perché invece di pensare che sia la logica, la figura in sé ad avere delle falle sia colui che la guarda. Così non c’è bisogno di guardare altrove e le nostre certezze, ereditate da secoli e secoli, ci confortano ancora. Non dobbiamo fare nulla, la figura è bella e pronta e non ha bisogno del nostro contributo: la variabile individuale non compare nemmeno.

bruce lee limitsDiscorso impegnativo e a tratti analitico. È curioso come la figura di Bruce Lee, che fu un uomo che scardinò le figure della tradizione per comporre le proprie, sia così inflazionata e utilizzata anche da chi vuole presuntuosamente la propria figura come l’unica possibile, l’unica valida. Sarà il fascino del mito cinematografico di Lee. O forse il suo carisma. O forse, è solo convenienza commerciale.

3 risposte

  1. Il punto/problema è la continua mitizzazione delle arti marziali, tra film e “bravi commerciali”, e il fatto che 9 su 10 non capiscono che 1) esiste una differenza sostanziale di approccio e comprensione alle arti tra orientali e occidentali; 2) il tempo storico è cambiato, il modo di “fare la guerra” è completamente differente, quindi l’approccio che il marzialista deve avere nei confronti della realtà è ben più complesso.
    E’ veramente difficile inculcare nelle persone il concetto di “informati, studia e ragiona con la tua testa”.

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