
Guardavo un pugile che faceva shadow boxe. Per i neofiti: “shadow boxe” significa letteralmente “boxare con l´ombra“, cioé combattere contro uno o più avversari immaginari. Prendete a pugni l´aria, ma al suo posto immaginarci un simpatico conoscente, che viene anche meglio. Di conseguenza, invece di andare dritti all´allenamento della “sostanza”, vi concentrate sulla “forma”: la posizione del corpo in equilibrio mentre si portano le tecniche, gli angoli giusti, la distensione e il rilassamento dei tendini, la non eccessiva contrazione muscolare che causerebbe rigidità e quindi lentezza. E poi il timing, le combinazioni, la respirazione, la posizione del corpo in generale.
Insomma la forma, che secondo il vocabolario Treccani Online si può in alcuni casi definire <<Talora, l´oggetto stesso, o il corpo umano, animale, o altra figura, soprattutto in quanto se ne veda soltanto il contorno, la sagoma, l´ombra, e non sia quindi nettamente definito o distinguibile>> (www.treccani.it, corsivo mio). La nostra “ombra”, la nostra shadow boxe è quindi una sorta di equivalente per la boxe dei Tao Lu per il Kung Fu o dei forse più famosi Kata nipponici.

Ora, gli allenamenti, le prove e le preparazioni hanno sempre uno scopo. Uno scopo è una risposta a una qualche domanda. Qual é la domanda a cui l´allenamento della forma cerca di dare una risposta? Probabilmente ce n’è più di una. Per esempio: la forma serve per migliorare la condizione fisica del praticante: irrobustisce le gambe, allena la velocità, la coordinazione, etc. Però a questa domanda la forma è solo una delle possibili risposte: per irrobustire le gambe potrei fare squat in palestra, bicicletta, corsa in salita. Ma questo genere di allenamenti non soddisferebbero quella che a parer mio è realmente l’unica domanda alla quale solo la forma risponde: come dovrebbero essere i miei movimenti per essere il più precisi possibile nel caso io combattessi contro qualcuno? Per facilitare l’attenzione verso il corpo, la forma mette un attimo da parte l’avversario in modo da perfezionare angoli, posizioni e tutto il resto.

E qui si apre un dibattito. Per quale ragione non si è ancora incontrato un praticante capace di fare esattamente quei movimenti che fa a vuoto nella sua “shadow” Tao Lu quando poi combatte libero? Fuori da una pellicola cinematografica, intendo. Il Kung Fu è incoerente: perfeziona nelle forme movimenti che poi vanno cambiati alla prova del nove. Si dirà: va bene, ma i movimenti vanno adattati. Si risponderà: non proprio e per almeno due buone ragioni. La prima è che non avrebbe molto senso parlare di allenamenti lunghi ore ed ore per sistemare l’angolo di un braccio di un centimetro o l’altezza di una posizione di mezzo pollice. Rompiamo le scatole all’allievo per un micron sbagliato e poi con nonchalance gli diciamo <<Ora che applichi devi cambiare e “adattare”>>. Ma dico: mi stai prendendo per i fondelli? Un allievo poco poco furbo se lo chiederebbe di sicuro, anche se forse non esternerebbe la sua, di domanda. La seconda è che la filosofia dell’”adattare le forme”, come ci faceva notare nottetempo il collega Fabrizio Demurtas, non è affatto del tutto condivisa perché è proprio qui che si apre quel famoso dibattito.
(ditemi se secondo voi questo è Kung fu ed ha qualcosa a che fare con le forme. Potrebbe smanacciare così anche il primo ubriaco sotto casa).

Tempo fa leggevo un articolo di un maestro italiano piuttosto affermato, di cui non farò il nome per non alzare interminabili polemiche (in realtà non lo citerò perché non trovo più il giornale dove era stato pubblicato). Scriveva che le forme non vanno affatto “adattate” perché è assurdo pensare che i grandi maestri che le hanno codificate avessero poi in mente di applicare tutt’altro: sarebbe come chi insegna ai propri allievi a fare i dolci e poi alla cena chiede loro di cucinare i primi. Sono assolutamente d’accordo con la sua osservazione (ok, la storia dei dolci e dei primi però è mia). Ma allora perché quando facciamo le applicazioni tutti cambiano modo di fare, struttura, angoli, “forma”? La sua risposta fu interessante: perché non sono capaci. Se non riesci ad applicare una forma per come ti è stata insegnata non è il Kung Fu che non è buono, sei tu che non sai farlo. Ci starebbe pure, se non fosse che, e mi ripeto, fuori da un cinema non ho ancora incontrato qualcuno capace di sostenere un combattimento vero e senza regole facendo esattamente i movimenti delle sue forme.
Però su una cosa non fa una grinza: se non ti riesce, o non è buono il Kung Fu o non sei buono tu. Ed è qui che divergo, stranamente schierandomi con i praticanti e non con la tradizione: ragazzi, non lasciatevi fregare perché se qualcosa non vi riesce nonostante anni di duro lavoro potrebbe non essere colpa vostra. Come si fa a saperlo? Chiedete al vostro insegnante di fare un combattimento vero contro qualcuno e poi di fare una forma e vedete se fa gli stessi movimenti. Poi lì non dovrà cadere dal pero con un <<Va beh più o meno ho fatto l’artiglio di tigre e i circamenoquasi Bu“. No no: dovrà essere coerente: dovrete pretendere un avversario per terra e il vostro maestro in Ma Bu come fosse un film… Probabilmente lo sarebbe.
Attenzione: non si tratta di efficacia, ma di coerenza. Il vostro maestro può tirare giù anche Hulk, ma se lo fa con la Muay Thai non vale. Deve farlo con le forme, perché altrimenti avreste tutto il diritto di dirgli <<Ma scusa maestro, posso fare quel movimento che t’ha fatto vincere il combattimento?>> E via di calcioni e tibiate. Insomma non si scappa: se non riuscite a combattere con le forme o le cambiate o le fate uguali uguali uguali a prima, sperando che il problema non sia intrinseco al discorso ma che dipenda da voi che ancora non siete abbastanza abili. Avete capito dove io personalmente decido di stare.
Si è parlato di pugilato e shadow boxe e poi di Muay Thai. Lo smaliziato praticante di Kung Fu che non cerca altro che di giustificare l’allenamento delle forme ricercandone qualche utilità abbandonerà qui la teoria delle forme come allenamento fisico per un’altra obiezione più tecnica. Le forme possono essere sostituite dallo squat, è vero. Però voi avete decantato Boxe e Thai Boxe, dimenticando che noi abbiamo il Sanda. Quindi quando combatto anche io posso usare movimenti più sportivi e diretti. E no, ragazzi, di nuovo no. Il Sanda è il Sanda, mica il Kung Fu. Esistono grandissimi campioni di Sanda che sono mediocri formisti, per non dire peggio. Viceversa, grandissimi formisti che non hanno mai nemmeno messo un guantone. Le forme non aiutano a fare Sanda più di quanto lo farebbe un corso di ginnastica artistica o hip hop. Leggiamo:
<<[Il Kung fu] non è adatto allo schema di combattimento da ring, ma alla difesa personale più pura. Quando un praticante di Gungfu tradizionale dedica molto tempo allo studio delle tecniche singole dei Toulou (le forme, N.d.a.), e poi combatte con il Sanda, egli non ha capito assolutamente nulla del proprio stile>> (Zanetti Maurizio, Hung Jia Kyun. Stile della famiglia Hung, Caliel, Bologna 2013, p.150)

Anche se il maestro Zanetti potrebbe uccidermi per la storia dell’hip hop, alla fine sostiene quel che sostengo io: combattere con il Kung Fu non è combattere con il Sanda. Solo che lui crede nella possibilità di combattere con le forme, io no. Ma si badi bene: con le forme del Kung Fu. Perché la shadow boxe del pugile è efficace. Oh, se lo è. Anche i praticanti di Wing Chun riescono spesso a combattere Wing Chun, anche se non sempre. Ma non è un caso che il Wing Chun sia più aperto al contesto moderno, rispetto agli stili puramente tradizionali e millenari che Ma Bu è Ma Bu e non forse-Bu.

In definitiva, è la storia della nuotata senz’acqua di leeiana memoria. Io non ci credo, poi se uno si diverte un mondo a fare le forme, le armi e i calci volanti non c’è nessuna ragione ulteriore per cercare un modo di giustificare qualcosa in senso marziale e applicativo. Divertirsi è già una gran risposta.
6 risposte
La differenza tra forma e applicazione è la stessa che corre tra “stile interno” e “stile esterno”: nessuna.
La forma è un combattimento a tutti gli effetti (parlo di forme tradizionali quindi nessun salto mortale) anche se tutti movimenti sono legati uno all’altro e serve per educare il corpo e la mente a muoversi in un certo modo e ad irrobustirlo con posizioni basse che poi non sono necessariamente da riprodurre in situazioni reali (sarebbe come dire “se in palestra vi allenate coi pesi, poi anche quando andate sul ring dovete portare dei pesi).
Ogni forma va non solo eseguita ma “interpretata” cioè trasformata (sempre all’interno di canoni di “correttezza anatomica”) in una espressione personale della corporatura e della mentalità del praticante: anche nel combattimento, senza mai tradire il concetto base che la forma vuole insegnare, si possono allentare certi vincoli (specificamente imposti come allenamento fisico) per adattarli alla situazione.
Una posizione alta con piedi paralleli e ginocchia “sbloccate” è una valida applicazione del ma-bu il cui ruolo è anche quello di irrobustire la muscolatura delle gambe. Un pugno scoordinato con le articolazioni del braccio (polso, gomito, spalla) disallineate non è una corretta applicazione per alcuna tecnica.
Tutto il “rigido l’allenamento formale” che si esegue nel kung fu tradizionale è l’impalcatura di un edificio. L’edificio alla fine non si dovrà reggere sull’impalcatura, questa dovrà invece rimossa al termine dei lavori.
E’ come l’abbecedario che serve per imparare le lettere e poi come il libro di grammatica che serve per imparare le parti di un discorso, e le figure retoriche. Quando dopo sufficiente esercizio formale si è appreso come scrivere allora è tempo mettere al servizio della propria creatività lo strumento che si è appreso.
Lasciando da parte la cinematografica -ma pure pregnante- citazione da The Forbidden Kingdom: “Learn the form, but seek the formless, (…) learn it all then forget it all, learn the Way then find your own way” che rifacendosi alla tradizione allude a questo concetto, troviamo lo stesso principio nella “vera” tradizione dei maestri (vedi sotto). Il kung fu è un concetto fluido che non può essere sclerotizzato e parcellizzato nei tritacarne della logica occidentale: va praticato e vissuto con lo spirito e secondo la filosofia che l’ha generato se vogliamo che produca ciò per cui è stato creato.
“Ho studiato l’arte della linea retta con Li Lo Neng, ho penetrato i segreti del cerchio con Tung Hai Chuan, nella via del Tao ho scoperto la natura, la prigione ha temprato il mio spirito. Ora, libero, pratico la spontaneità”
Kuo Yun Shen, storico maestro di Hsing I
E soggiungo… Non pratico kung fu per far vincere in un forum l’idea che la forma prepari al combattimento, pratico kung fu per la ricerca ed il mantenimento di benessere ed equilibrio psicofisico il che comporta eventualmente una certa competenza marziale ed una certa capacità di difendersi (con “certa” che varia da praticante a praticante, da maestro a maestro).
Per cui sono completamente ortogonale alla tua definizione di coerenza: se all’aggressore che mi chiede un portafogli io so rispondere con calma e pacatezza e riesco a dargli il portafogli senza che nessuno si faccia male, per la mia visione delle cose io ho fatto kung-fu ed ho vinto.
Se in discoteca un bullo mi dà uno schiaffo a tradimento ed io vincendo orgoglio e rabbia gli lascio la soddisfazione che una mente rozza come la sua cerca, nessuno dovrà farsi altro male, avrò fatto kung-fu ed avrò vinto.
Il momento di utilizzare il kung fu non è su un ring per misurarsi col centimetro di quanto ce l’ho più o meno lungo di uno sconosciuto che mi saltella davanti. Il momento di utilizzare ciò che si apprende con il kung fu è quando ogni altra via (compresa l’auto-umiliazione o l’accettazione di un danno sostenibile) è preclusa e si è davvero con le spalle al muro.
A quel punto capisci che se l’allenamento formale venga gettato o meno in faccia all’aggressore omicida, è irrilevante, se si sarà evitato quello scontro con tutto il buon senso e la padronanza di sè di cui si è disponibile e se si sopravviverà a quello scontro allora saprà di aver fatto kung-fu.
La gente teme quello che non capisce e odia quello che teme. Nel mondo marziale, vale anche per le forme.
Davide la tua riflessione a mio parere va dritta al punto…
Poni l’accento su un aspetto pragmatico che molto spesso non si cita, ma che è il fulcro della questione: le posizioni.
Le posizioni del tradizionale pensate per essere allenanti non sono utilizzabili in un combattimento reale, ma come dici tu bisogna vedere se per applicabilità delle forme si intende con o senza posizioni basse. Cambia tutto. Se l’impalcatura deve o meno far parte del palazzo.
Può sembrare una cosa ovvia ma sono convinto che nel mondo marziale esiste ancora molta confusione in merito.
E poi diciamocelo, nel mondo della arti marziali i veri maestri, quelli che sanno davvero far funzionare le cose che si apprendono senza snaturarle sono pochi.
La maggior parte degli insegnanti (chiamiamoli così che è il termine più onesto) ha un altro lavoro, si allena 3/4 volte alla settimana (se va bene!!) per un paio d’ore.
I praticanti anche meno, siamo dalle 4 alle 6 ore a settimana.
Nel post precedente dicevo che il kung fu per la sua complessità ed il suo approccio controintuitivo (almeno per una mentalità occidentale) deve essere praticato in modo “genuino” per dare risultati (in ogni campo, dal benessere psicofisico alla competenza marziale-combattente). E questo significa praticarlo 4/6 ore al giorno 7 giorni su 7.
Qualsiasi cosa meno che quello e si è niente più che dilettanti. Questo nessun “insegnante” in questo lato del globo te lo dirà perché nessuno accetterebbe un simile regime (nè lui sarebbe in grado di ottenerlo dovendo certamente fare anche altro per campare). Sicché non c’è da stupirsi se non si riesce a carpire e ad esprimere il “senso” ultimo di una forma e la si deve stroppiare per arrangiare un’autodifesa.
Vuoi imparare davvero il kung fu? Trova un vero maestro che viva di kung fu senza altri espedienti e preparati ad allenarti tutti i giorni per diverse ore .
Lo stesso si potrebbe dire di un qualsiasi altro sport da combattimento dite? Si probabilmente è così, è il kung fu che praticato a “basso regime” offre risposte a “basso regime”. Kung fu vuol dire (tra le tante possibili interpretazioni) “duro lavoro” o “abilità conseguita col sacrificio” ed è una esperienza totalizzante per la vita del praticante: praticarlo con lo spirito di un corso di Zumba-fitness non può dare risultati.
Col mio maestro usavo le forme per applicazioni ai colpitori e per lo sparring. Magari potevi adattare la direzione del pugno o del calcio per colpire in modo esatto ma la posizione era quella studiata nelle forme! Gli angoli erano quelli! Ti correggeva se improvvisavi. Mi preoccupa non poco sentire che non sia una cosa comune fare applicazioni tradizionali.