A scuola ci insegnano che la Divina Commedia di Dante Alighieri sarebbe una sorta di spartiacque storico tra Medioevo e Umanesimo. L´Umanesimo: filosofia e forma mentis del Rinascimento, quel meraviglioso movimento artistico, politico e culturale che ci ha regalato Santa Maria Novella, Leonardo Da Vinci e Il Decameron di Boccaccio. Lo sanno tutti, d´altronde, ma in questo genere di cose repetita iuvant. Se “spartiacque” significa quindi che una metà acquatica deve essere per qualche aspetto differente dall´altra, tra Medioevo e Umanesimo c´è un aspetto, tra gli altri, molto importante: il senso storico.
Potremmo definire il senso storico come la capacità di rendersi conto del distacco del presente dal passato, con la conseguente intuizione che le categorie interpretative degli eventi del passato non sono idonee a interpretare il presente e viceversa. È la storicizzazione delle visioni del mondo: non si può interpretare gli eventi del passato a partire dal contesto del presente. E viceversa. Ogni cosa deve essere studiata considerando molto attentamente il contesto storico e culturale in cui essa avvenne, altrimenti si rischia di fraintenderne gli aspetti cruciali. Per esempio: giudicare il governo di Cesare come una dittatura simile a quella hitleriana è un errore perché manca la considerazione del contesto storico in cui quel governo si sviluppò. Ciò che “dittatura” significava nel 50 a.C. a Roma non è granché sovrapponibile al significato del termine nel 1930 in Germania. Insomma, il senso storico è una specie di settimo senso che ci sussurra: <<Ricordati che la roba che esisteva in un determinato periodo storico nacque con un significato e uno scopo che non devi cercare nella mentalità di oggi, ma in quella dell’epoca>>. Vuol dire che se non studi la storia sei destinato a fraintendere parecchie cose. Tipo lo psicoanalista che vede falli e pulsioni erotiche verso mamme e nonne anche in quadri dell’avanti Cristo.
Molto più terra terra arriviamo dunque noi: gli artisti marziali. Quelli che studiano gli stili del Sud del Kung Fu cinese descrivendoli come diversi da quelli del Nord perché i primi nacquero in condizioni storico-geografiche diverse dai secondi. Al Sud le risaie e i combattimenti sulle barche in stile Daniel San di Karate Kid favorirono le posizioni basse e stabili, un po´ per non cadere in acqua e un po´ perché provate a fare i calci alti o volanti mentre avete le gambe immerse in acqua. Al Nord invece le grandi distese da solcare a cavallo e i maggiori spazi favorirono lo sviluppo di sistemi di combattimento che valorizzavano la mobilità, i calci alti e posizioni più alte. Provate voi a disarcionare, da terra, un tizio sopra un cavallo: a meno che non siate giganti, vi toccherà saltare per colpire.
Noi marzialisti: quelli che amano il Wing Chun perché usa la forza dell’avversario, dato che nacque in un contesto storico in cui la povera Ng Mui ebbe a che fare con guerrieri uomini forti e robusti. Non poteva basare la propria difesa sulla forza: avrebbe perso. Meglio usare la velocità, la simultaneità e la forza dell’avversario. Noi: quelli che amano il Kali perché insegna ad usare le armi. Una disciplina fatta di movimenti circolari e continui cambi di direzione, dovuti al fatto che se combattete in mezzo alla fitta vegetazione della giungla filippina avrete bisogno di passi sicuri e tali da non dare mai le spalle ad un avversario. Gli scontri avvenivano tra gruppi di combattenti, per cui bisognava ricordarsi che il pericolo poteva sempre essere dietro di noi e che se per caso dietro di noi c’era invece un nostro alleato non dovevamo girarci e tagliargli la testa senza saper leggere né scrivere.
Quelli di noi veramente appassionati dell’arte marziale e dello stile che studiano conoscono bene tutte queste cose. Ma si tratta di senso storico? Si tratta della consapevolezza che è importante inquadrare la propria arte nel contesto storico-culturale in cui nacque? Sembrerebbe proprio di si, e invece spesso secondo me è no. Tanto per rompere le uova nel paniere.
Se voi andate ad ascoltare un pianista classico suonarvi Mozart, mentre le vostre orecchie sono estasiate dalla sua musica classica è molto probabile che egli sappia benissimo in che epoca storica sia stata composta l’opera che sta eseguendo. Se poi è veramente bravo magari saprà anche perché, se l’autore volle dedicare per caso il suo brano ad una dama o se invece gli fu commissionato da un nobile o dalla Chiesa etc. Se andate al Louvre ad ammirare la Gioconda, immaginerete che non si tratta della foto di una tizia che era passata da quelle parti nel pomeriggio, ma di un’opera del 400. Di arti si tratta, ma non marziali.
In questo genere di arti, però, “tutto” (con virgolette d’obbligo, visto che il “tutto” è parecchio, eh…) si conclude con la fruizione estetica dell’opera, la sua eventuale storicizzazione, genesi poietica e semantica. Nelle arti marziali c’è però qualcosa che manca alle altre, che è alla base di quel “marziali”: l’efficacia nel combattimento senza regole. E se mostriamo un grande senso storico nella conoscenza della genesi delle nostre arti, siamo del tutto superficiali quando si tratta di storicizzarne l’efficacia. Nel nostro contesto presente non si combatte sulle barche e con i piedi immersi nelle risaie. Non si combatte sui cavalli e nelle giungle e se andate in giro con un machete qualcuno potrebbe arrestarvi. In guerra il combattimento è dichiarato e tanti saluti al fattore sorpresa, a meno che non siate guerrieri un po’ distratti. Al giorno d’oggi, invece, il fattore sorpresa è quello che al 99% vi costerà la vita in un’aggressione con un coltello.
Storicizzare l’efficacia della tradizione significa molto di più che conoscerla. Avete mai conosciuto un praticante di scherma medioevale sostenere di fare un’arte marziale per la difesa personale? Parlo di quelli che si vestono da Lancillotto e fanno le rievocazioni storiche con spadoni di 3 kg. Solitamente non si sentono artisti marziali in stile Bruce Lee, quanto più studiosi di folklore marziale. Quello si, che è senso storico: sanno benissimo che oggi i combattimenti non avvengono in quel modo. E noi? Noi no: noi siamo quelli che <<Studiare l’alabarda migliora la difesa personale>> perché migliora la coordinazione, i riflessi, etc. Beh, allora anche fare lo sbandieratore o la majorette.
Solite questioni di orgoglio e testosterone.
Una risposta
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