C’era una volta un re che amava vestirsi bene. La sua passione era sfoggiare sempre il miglior abito possibile, ogni giorno uno nuovo. Aveva mobilitato tutti i sarti del regno e li aveva chiusi a lavorare in una grande stanza del castello in modo da essere sicuro di potersi avvalere dei migliori stilisti del tempo. La sua vanità era oramai leggendaria, al punto che se un sarto non lo soddisfaceva poteva rischiare addirittura la forca. «Come hai potuto pensare che un sovrano del mio calibro potesse indossare questi stracci?» soleva rimproverare a molti suoi servitori. Ogni occasione era solo un’oopportunità di mostrare la sua regale vestiosità: teatri, cortei, cene, banchetti.
Un giorno arrivarono alla sua corte due stranieri, presentandosi come due stilisti. Dissero al re di aver ideato una stoffa di sublime bellezza, così sublime che però non era visibile agli stupidi o agli indegni delle proprie cariche. Il re immediatamente commissionò loro un vestito da sfoggiare alla parata della città.
Decise di scegliere tre alti funzionari per monitorare i lavori. Inviò il primo nella grande sala dove avevano montato i due telai necessari alla lavorazione delle regali vesti. Il funzionario giunse di fronte ai due sarti e chiese quando sarebbero cominciati i lavori. «Ma non vede che la stoffa è già in lavorazione sul telaio?». Il funzionario indugiò un attimo e pensò che se avesse risposto che non vedeva nulla avrebbero pensato che era uno stupido o che non era all’altezza della sua carica. In ogni caso avrebbe rischiato le dimissioni forzate. «Ah si certo, sono stoffe talmente belle che la luce su di esse riflessa mi aveva ingannato» rispose.
Il giorno dopo giunse sul posto il secondo funzionario e si accorse che sui telai sembrava non esserci nulla. «Se adesso dico di non vedere nulla mi metterò nei pasticci» disse, pensando di essere meno intelligente di come aveva finora creduto. Elogiò dunque la sublime bellezza delle stoffe, il loro colore scintillante.
Il giorno dopo fu la volta del terzo funzionario, che parimenti agli altri due non vide nulla. «Io non sono un stupido» pensò. «L’unica spiegazione del fatto che io non veda nulla è allora che non sono degno della carica di cui il re mi ha investito. Ma non ho nessuna intenzione di lasciarmela scappare e perdere con essa vantaggi economici e sociali». Mentì anch’egli spudoratamente, arrivando addirittura a simulare di toccare le stoffe per lodarne la freschezza e la morbidezza.
Alcuni giorni dopo i due stilisti annunciarono che le vesti erano pronte e richiesero per il loro lavoro una gran quantità di oro, argento e ricchezze. «Vesti del genere sono più uniche che rare, valgono moltissimo e quindi chiediamo il giusto compenso. Non abbiamo ragione, funzionari?». I tre funzionari si affrettarono ad annuire, elogiando la bellezza quasi soprannaturale delle vesti. «Mio re, queste vesti sono sublimi e uniche, le più belle mai viste per valorizzare la sua imponente regalità!» dissero al sovrano. Egli pensò: «Ma… io non vedo nulla! Sarò forse stupido? Oppure non son degno di essere re? Non può esserci altra spiegazione. Ma non posso lasciare che tutti si accorgano dell’una o dell’altra che sia». Rispose dunque: «Domani sfoggerò queste sontuose vesti alla parata cittadina».
L’indomani i due stilisti portarono gli abiti al re e cominciarono personalmente a vestirlo. Di fronte allo specchio, il sovrano si sentiva in imbarazzo perché si vedeva completamente nudo, proprio come lo vedevano i tre funzionari, la regina e la principessa. Anche queste ultime, però, interrogate dai due stilisti risposero che le vesti erano splendide. Il re fu condotto su un trono trasportabile e il corteo poté iniziare la sua parata. Il popolo cominciò a parlare tra sé e subito a osannare la bellezza del sovrano: «Mio re, sei bellissimo! Le vesti più splendide che tu abbia mai indossato!». «Vedi che straordinario abito reca con sé il nostro sovrano!» si chiedevano vicendevolmente le donne del regno, sperando che la loro vicina asserisse di non vedere nulla e potendo quindi canzonarla per stupidità. Fu un trionfo di elogi e celebrazioni, le più grandi mai viste ad una parata cittadina. Nessuno osava rivelare agli altri di non vedere nulla per paura di essere tacciato di stupidità o mediocrità.
Fu allora che echeggiò solitaria la voce di un bambino: «Ma… il re è nudo!» Un silenzio raggelante prese possesso di ogni astante e per qualche secondo nessuno si mosse o fiatò. Una donna accennò una risata, che contagiò velocemente tutti i presenti. «Ahahah, il ragazzo è giovane, immaturo ed ingenuo! Non vede nulla a causa dell’età infantile che spesso veicola con sé la stupidità tipica di ogni bambino!» Irruppe veemente il padre del fanciullo: «Ciò che egli reca con sé non è stupidità o mediocrità. Tipica della sua giovane età è invece l’onesta innocenza di chi non prende in giro né se stesso né gli altri. Tutte doti che voi avete perso, schiavi della paura dell’autorità e di un orgoglio personale che non vede altro da ciò che gli si comanda di vedere». Il popolo cominciò a insultare pesantemente l’uomo, colpevole di stupidità e mediocrità non giustificabile questa volta da una giovane età. L’uomo e suo figlio furono banditi dal regno e fu detto loro di non farvi mai più ritorno, fino a che non avessero confermato la bellezza delle vesti e del loro sovrano. I due si allontanarono in silenzio, continuando ad affermare che il re era nudo. Quest’ultimo si eresse ancora più fiero di sé dinanzi a tutto il popolo, per sfoggiare maggiormente le sue magnifiche vesti. I sudditi continuarono a lodarne la bellezza, mentre il re rimaneva impettito e completamente nudo proprio mentre i due stilisti imbroglioni si allontanavano dal regno alla ricerca di un’altra corte da ingannare.
Qualche giorno dopo il padre e il figlio banditi dal regno incontrarono, durante il loro viaggio, i due sarti truffatori. Chiesero loro per quale ragione avessero ingannato il sovrano e il suo popolo e perché non sceglievano un lavoro più onesto per poter vivere.
«La nostra disonestà sarebbe impossibile senza la loro. L’orgoglio, la presunzione e la saccenza fanno la nostra fortuna. La gente ha bisogno di vedere quello che gli si dice di vedere, quando se non lo vede si propone loro un’alternativa di false e scomode spiegazioni». L’uomo dunque rispose: «La vostra furbizia è degna dei migliori filibustieri. Quando qualcosa non si vede è spesso difficile avere il coraggio di dire che semplicemente non c’è, che non ha senso dunque cercarla e che le strade da solcare sono altre. Se lo si h, o si viene banditi o si diventa dei filibustieri come voi».
Ispirato alla fiaba dello scrittore danese Hans Christian Andersen Keiserens Nye Klæder.