Di Mark Bonifati
C’era una volta un principe che amava molto andare a caccia nelle sue sconfinate riserve naturali. Era però estremamente rispettoso verso le prede che uccideva: egli ne faceva subito un nutrimento per corpo e anima. Oltre all’evidente sostentamento fisico, infatti, aveva alcune precise credenze sugli animali. Nutrendosi della lepre egli era convinto di interiorizzarne la rapidità, i riflessi, l’attenzione. Dell’alce l’eleganza, la maestosità, la regalità. Del castoro la laboriosità, l’impegno, la collaborazione e il rispetto dei propri simili. Dell’aquila la vista acuta, la fermezza, la decisione.
Di ogni preda che arrivava alla sua tavola egli ne desiderava cogliere dunque l’energia.
Il rispetto del principe verso gli animali era così elevato che egli non tollerava nessuna leggerezza nella preparazione delle carni. I cuochi erano scelti con cura e tenuti a servire il tutto come se portassero vere e proprie opere d’arte su vassoi. Il principe cacciatore era così meticoloso da voler assistere addirittura alla macellazione delle prede. Proprio lì, purtroppo, era estremamente insoddisfatto del lavoro dei macellai. Le parti tagliate erano imprecise, miste a frammenti di ossa e spurie, mentre il principe pretendeva di potersi nutrire esclusivamente delle cosce della lepre per poterne cogliere la rapidità e del petto dell’alce per coglierne la regalità, della testa dell’aquila per la sua vista acuta e delle zampe del castoro per la sua laboriosità. I macellai erano inoltre grossolani e rozzi nei propri movimenti: i colpi di mannaia erano rudi e portati con larghi fendenti, i loro vestiti erano sporchi del sangue che schizzava loro addosso, la loro fronte era intrisa di un sudore pari solo alla loro fatica. I loro coltelli andavano cambiati ogni settimana perché si spezzavano sotto i potenti colpi sui taglieri, soprattutto dopo che venivano affilati sulle pietre assottigliandosi così sempre di più. Si lamentavano inoltre perché pretendevano strumenti più spessi e pesanti. Più potenti.
Il principe era quindi costantemente alla ricerca dei migliori fabbri del regno, che potessero produrre delle vere e proprie armi sempre più potenti e capaci di sprigionare sempre più energia. Si accorse però che l’unico modo per soddisfare la domanda dei macellai era quello di dotarli delle stesse armi che aveva il suo esercito, e addirittura di affiancare loro alcuni tra i guerrieri più forti del regno. Il principe tuttavia continuava ad essere parecchio deluso dal risultato dei tagli delle carni, anche se continuava a fare di tutto per massimizzare la potenza richiesta dai macellai. Egli coltivava in cuor suo la speranza di risolvere un giorno l’ insoddisfazione attraverso la costruzione di armi potentissime per metodologie di taglio potentissime. Così anche il suo esercito si sarebbe avvalso di questi letali strumenti di morte, capaci di macellare letteralmente il nemico.
Un giorno giunse in un villaggio del regno un vecchio macellaio che portava con sé un solo coltello. Era un coltello leggero ma affilatissimo: ogni giorno il vecchio lo lavorava sulla pietra. Gli abitanti videro che dal suo tavolo di lavoro cadeva pochissimo sangue, che a stento gli macchiava i vestiti. Le sue carni erano però squisite. Il principe era curioso di conoscere il macellaio e lo convocò al castello. Non appena lo vide, gli chiese di lavorare su un alce. Il principe rimase ipnotizzato dalla maestria che il macellaio mostrava nel tagliare le carni con una precisione assoluta. I suoi movimenti erano aggraziati, eleganti ma semplici ed essenziali. Cosa ancora più stupefacente era che utilizzava un solo coltello che portava con sé da moltissimo tempo e riusciva a tagliare anche un solo minuscolo muscolo. Tra l’invidia degli altri macellai, tutti notarono che non era nemmeno sporco di sangue, e che a terra ve ne era pochissimo.
Il principe gli chiese:
«Come fai a lavorare in questo modo? È vera e propria arte e tu sei un artista. È la perfezione».
Il macellaio rispose:
«Quando iniziai la mia carriera vedevo solo un alce da macellare. Mi sporcavo, mi stancavo, tagliavo pezzi sbagliati e consumavo molti coltelli. Dopo tre anni di lavoro non vedevo più un alce, ma un’immagine da sezionare meticolosamente attraverso tagli portati con metodo in posizioni precise, con contorni precisi. Mi sporcavo di meno, ero più preciso, pezzi migliori, consumavo pochi coltelli ed ero alla fine meno stanco. Adesso i miei occhi vedono di nuovo un alce ma le mie mani si muovono da sole e alla fine del mio lavoro mi ritrovo pulito, fresco, con pezzi precisi e pregiati. E porto questo coltello con me da 19 anni». Tutti chiesero:
«Ma come fai a usare solo un coltello, e così piccolo e sottile?»
Egli rispose: «Un macellaio mediocre butta via tanti coltelli perché li consuma sulle ossa, e sentendo quindi il duro sotto la lama ha bisogno di fendenti potentissimi per tagliare. Un macellaio esperto taglia unicamente negli interstizi tra i muscoli e le ossa: non ha quindi bisogno di armi così devastanti da rompere ogni cosa che colpiscano. Non ho bisogno di tanti coltelli da potenziare sempre di più. Preferisco conservare il mio».
Il principe allora rispose:
«Da oggi in poi smetteremo di cercare di massimizzare l’energia delle nostre armi. Tenteremo piuttosto di conservare l’energia di quelle che già abbiamo curandone il filo, l’uso, la tecnica. Questo varrà per il macello e per l’esercito, e anche per noi stessi».
Il macellaio disse allora:
«Tu mi chiedevi perché io fossi un artista, e ora lo sai. Oggi hai quindi imparato l’arte di conservarti.
L’arte di conservare l’energia».
6 risposte
Che dire…., è una storia bellissima che evidenzia quanto sia funzionale per il manteminento dell’equilibrio la conservazione energetica, piuttosto che ricercare a tutti i costi una modalità per il suo incremento.
ovviamente il mio Maestro ha svegliato me, come fu Hume per Kant, dal sonno della ragione: dal sonno del massimizzare a quello del conservare. io in questo fui principe, lui il mio servo. ma solo perchè egli ha dato a me più di quanto io abbia dato a lui
Molto bella ed interessante. Mi permetto di rimarcare che sono enunciati più o meno velatamente molti dei principi dell’IMS. Oltre al più esplicito messaggio sulla conservazione dell’energia da notare infatti anche l’idea di adattamento e l’idea di scelta della via più efficace (‘tagliare unicamente negli interstizi’) che sono propedeutici alla conservazione stessa dell’energia a parità di strumenti a disposizione. Mi piace scorgere nel discorso anche la trascendenza dell’obiettivo, che da alce, ad esempio, passa ad ‘immagine da sezionare meticolosamente’, e al trapasso da una tecnica ragionata e intenzionale, ma al contempo inefficiente e poco efficace, ad un automatismo efficiente (paragonabile al cosiddetto we wei) che lascia libera la mente dell’artista che compie il suo capolavoro.
Ciao, non so chi tu sia…., ma se un giorno mi deciderò a scrivere un libro ti chiederò di aiutarmi. Bravissimo!
si, probabilmente l’ IMS insiste molto su questi principi. a me interessa però il principio in sè, il racconto è una metafora del Tao che trascende le diramazioni, le divisioni, i dualismi, il tutto vs il niente. Nota:
– non si può incrementare il Tao, perchè esso è già tutto ciò che esiste. non esistendo la creazione ex nihilo nel taoismo, ciò che c’è c’è già eternamente da sempre, oltre e nel tempo stesso. fuori ogni divisione, anche quella tutto/nulla. il Tao, appunto.
tutto ciò che fa il Tao è essere divenendo e divenire essendo: ovvero, CONSERVARSI, non può incrementarsi ciò che dà allo stesso atto di incrementare il suo senso ontologico.
Se tu hai visto in un’arte questa filosofia del movimento marziale, che sia IMS o qualsiasi altra, cinese o no, ne sono lieto perchè il mio racconto ha comunicato con la pratica vera e non è rimasto un mistico e fiabesco alone di mistero, intangibile.
Sono ancora più contento che il Maestro De Rosa sia orgoglioso della tua intuizione. Immagino tu sia suo allievo, anche se forse a sua insaputa