Il Kung Fu nella mente

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Riporto un “pensiero” che mi ha inviato tempo fa Fabio, un artista marziale molto abile tecnicamente, attualmente impegnato in un percorso di ricerca molto interessante che definirei relativo alla “consapevolezza di se e delle proprie potenzialità”.

L’essenza dell’arte marziale, se presa nella sua accezione più pura, è il fondamentale concetto della padronanza di se, del corpo, dell’essere nel corpo e non del corpo.
L’apparato biologico umano, che è strutturato in maniera analogica, permette attraverso la progressiva acquisizione della padronanza del corpo di gestire, disciplinare, gli altri piani, più sottili, del nostro apparato : il piano emotivo e il piano mentale.
Utilizzare il corpo in una “via marziale” consente, attraverso la disciplina fisica, la gestione di un sistema complesso, generalmente compulsivo e la cui attività sfugge al nostro controllo e alla nostra volontà: la mente.
Nella situazione “normale” infatti non siamo in grado di generare pensiero, il pensiero nasce in noi, in maniera meccanica, involontaria e associativa, infatti se fossimo noi a decidere di “utilizzare” il pensiero saremmo anche in grado di bloccarlo a nostro piacimento, di “spegnere” la mente ogni qual volta non sia necessaria.
La mente è uno splendido strumento che è sfuggito al nostro controllo creando una paradossale situazione: generalmente non pensiamo, veniamo pensati.
Nelle forme tradizionali cinesi, per esempio, serie di movimenti vengono appresi, memorizzati, metabolizzati e ripetuti infinite volte. Movimenti che nascono dall’interno, prima come volontà, poi come percezione del corpo dall’interno e solo dopo espressi in un movimento esteriore.
Essere nel corpo costringe il praticante ad essere focalizzato nell’unico spazio di realtà da noi utilizzabile: l’attimo presente.
Mentre l’attività della mente è focalizzata nel rimuginare sul passato e nel prevedere uno o mille ipotetici futuri, il corpo è sempre nel momento presente. L’unico momento esistente, fuori dal tempo.
Con la pratica, quando una forma è entrata nella mente, nel cuore e nella carne allora vi sono le condizioni per poter creare un particolare fenomeno: l’osservazione distaccata di se.
I pensieri e le emozioni sono assenti e le energie del corpo sono impegnate in movimenti perfetti e armoniosi, per la prima volta siamo realmente “consapevoli”, entriamo cioè in contatto con il nostro se più profondo: uno spazio aldilà della mente, delle emozioni, del corpo, del tempo..uno spazio di pura osservazione.
Allora non ci sarà più un “io” che mi muove, ma semplicemente “l’atto del muoversi”, non ci sarò più “io” che respiro, ma il semplice e indistinto “atto del respirare”.
L’ essenza dell’uomo è “l’atto di osservare con consapevolezza”.
E allora possiamo osservare che dietro la fatica, dietro l’acido lattico, l’adrenalina e il movimento, in profondità “qualcosa” rimane vigile, consapevole, silenzioso e calmo…in pace.

Una risposta

  1. Questo breve articolo è semplicemente favoloso! complimenti. Descrive veramente l’obiettivo reale di un allenamento marziale che trascende dalla semplice imitazione delle tecniche per avere il reale controllo del nostro corpo: essere consapevoli nel presente del gesto marziale. Bravo.

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