Guanti, guantini e guantoni. Guanti da sacco, da sparring, da incontro, da Chi sao. Guanto da boxe, da grappling, da Karate e da MMA. Insomma guanti non per la moto, la bici, i pesi o da goalkeeper: guanti per le arti marziali.
Siamo una disciplina pignola ma incoerente. Il maestro di Kung Fu tradizionale prescrive di compiere un movimento milioni di volte prima di accennare che possa minimamente andare bene, ci dice di fare una forma tantissime volte prima di affermare che abbiamo gli angoli giusti, lo Shen Fa adatto alle applicazioni. Quando è però il momento di testare la nostra efficacia, ecco i guanti. Sacrosanti, ci mancherebbe. Ma perché tutta la pignoleria adesso sparisce? Un centimetro, un millimetro è troppo e due sono pochi per affermare che un movimento è giusto, e poi inseriamo i guanti. Per quanto possano essere a dita libere, sottili, compatti e fascianti falseranno per forza le naturali dimensioni e misure di angoli, dita e mani.
Si obietterà: dovremmo quindi allenarci senza guanti e rischiare di far del male ai nostri compagni? No, non è il caso di esagerare saltando a conclusioni affrettate. Le protezioni hanno la loro utilità. Quella immediata ha a che fare con gli sport da combattimento: in quei contesti non si falsa alcuna misura o distanza perchè quegli stessi guanti saranno usati poi durante le performance. Il problema sono le arti marziali da difesa personale e combattimento non regolamentato.
Partiamo dalla considerazione della performance: la difesa da strada, contesto nel quale siamo decisamente poco attrezzati per un allenamento. Ci sono arti marziali come il Kali che sostengono che la miriade di armi del Kung Fu tradizionale non ha ragione di essere allenata in visione della difesa personale perché poi in strada le uniche armi reperibili saranno simili a bastoni corti o coltelli. Una spranga, un ombrello, un giornale arrotolato come un bastone; un cacciavite, una bottiglia rotta o un taglierino come un coltello. E infatti i praticanti di Kali sono dei veri maestri nell´uso di queste armi.
Come si evince da questo post precedente, sono sostanzialmente d´accordo con loro. Però poi perché mettiamo guantoni e guantini per la mano nuda? Il volume del guantino non falserà il nostro allenamento, rispetto alla reale situazione che avremmo davanti in strada? Oltre al Kali, ci sono altri praticanti che furbescamente ci ricordano di settare l´allenamento non sulla tradizione, ma su quella che dovrebbe essere poi la performance. Sto parlando del Krav Maga, che per ricreare le condizioni della strada conduce allenamenti in vestiti da passeggio o comunque quotidiani. Vediamo che succede a rinunciare ai comodi pantaloncini della Muay Thai, al Kimono del praticante di Kung Fu tradizionale e alle Tiger gialle dello studente di Jeet Kune Do. Non sarà così semplice tirare un bel low kick con i jeans stretti da hipster o fare un buon stop kick sui tacchi a spillo.
Un’altra brillante intuizione, quelle del Krav Maga. E perché noi continuiamo a mettere guantoni e guantini, che a colpire a mano nuda con forza qualcosa di duro come una mascella o una tempia potremmo anche romperci dita e mani? Si racconta che statisticamente i pugili che fanno a botte in strada si rompono le mani.
Angoli diversi, impatti diversi, resistenze ossee diverse: ce n’è abbastanza per riflettere. Pensate alle arti marziali che basano la loro difesa sulla sensibilità e quindi sul Chi sao: il Wing Chun, il Wing Tsun, l’EBMAS, l’IMS. Arti che adorano bruciare la distanza ed entrare in dinamiche combattive fluidissime e avvolgenti. Come possiamo credere che mettere i guantini non faccia la differenza? Le distanze del Chi sao sono minime, la riuscita di un adattamento ad uno stimolo è questione di micron. Il guantino è decisamente troppo falsante.
Per tutelare il compagno, invece di infastidire Maometto potremmo dedicarci alla montagna: noi mano nuda, lui un caschetto. Così non lo mettiamo KO, però almeno le nostre mani si allenano libere come sarebbero in una colluttazione da strada. Si dirà: il caschetto però non è duro come tempie e mascelle. Poco male: basta procurarsene uno morbido dentro e duro fuori. Questo non risolve il problema della percezione limitata causata dal caschetto stesso: sensi meno efficienti, assenza pressoché totale della visione “con la coda dell’occhio”. Senza contare che esistono arti marziali come il Jun Fan Jeet Kune Do e il pugilato stesso che basano la loro difesa sulla schivata, per cui mettere un caschetto vorrebbe dire aumentare dimensioni della testa e falsare così la tecnica esattamente come fanno i guanti per le mani. Un pugno preso con il caschetto sarebbe forse stato schivato senza, per cui ci si allena su angoli diversi da quelli della strada. A meno di non andare in giro con il caschetto.
Insomma la coperta resta sempre troppo corta: se mi copro la testa mi scopro i piedi e viceversa. Che fare? Accettare di allenare angoli non perfetti? Però noi facciamo Kung Fu, cioè “abilità conseguita attraverso un duro lavoro”: rinunciare anche alla pignoleria tipica di quest’arte per cui non si migliora mai abbastanza? Oppure rischiare ad ogni allenamento di rompersi le mani e mettere KO i compagni? Si potrebbe tirare più piano… ma poi a non essere realistica sarà la potenza con cui si applica! Provate a pensare a quelle arti che basano la loro difesa sulla strategia “un colpo, un morto” come l’Hung Gar Kuen, il Choy Li Fut, il Karate. Se quel colpo non è allenato al massimo della potenza, sarà inefficace.
In definitiva, si tratta di accettare un altro aspetto delle arti marziali troppo spesso sottovalutato: la coperta è corta per natura. Intendo dire che le reali condizioni della difesa da strada non possono in alcun modo essere ricreate in allenamento per un limite strutturale intrinseco di quest’ultimo. Se usiamo i guanti andiamo giù pesanti ma con angoli diversi, se non li usiamo dobbiamo tirare piano, etc. In ogni caso non potremo pretendere altro che "girare intorno" alla realtà della difesa personale ma mai riuscire a coglierla. L’unico modo sarebbe quello di uscire e andare ad attaccar briga con qualcuno per strada.
Siamo pronti ad accettare quel limite invalicabile per qualsiasi arte marziale, ovvero che non ci darà mai certezza assoluta sulla sua efficacia al momento della prova del nove? Sarebbe semplice come una dimostrazione matematica e piuttosto sollevante se potessimo essere certi che quello che succede in allenamento si verificherà per filo e per segno. E invece se cogliamo la potenza ci perdiamo la precisione e viceversa: una sorta di principio di indeterminazione che a velocità e posizione della particella sostituisce però abilità marziali.
C’è quindi un gap. E questo potrà essere colmato solo dall’abilità dell’individuo ad adattare la propria preparazione tecnica alla situazione.
Individuo e non stile o sistema. Questi ultimi al massimo vi suggeriranno metodi e situazioni da allenare, ma la vera differenza la farete come sempre voi. L’arte marziale può essere realistica, ma non sarà mai reale.