Abbiamo atteso fino al numero cinque, ma chi di voi fosse un praticante di Aikido, Judo, Jujitsu, Sanda e altre discipine dedite a leve e proiezioni avrà oggi la propria risposta. A quale domanda? A questa: tra le dieci mani che uccidono dello stile Hung Gar Kuen esistono leve o proiezioni?
Il praticante delle suddette discipline che, per caso o per una sana abitudine di lettura di Kung Fu Life, sia andato oltre la propria arte marziale potrebbe essersi posto questo interrogativo. In realtà, come cercherò di spiegare quando i nostri dieci passi nelle Sap Zyut Sau volgeranno al termine, la domanda è mal posta. Per ora ci basti sapere che il quesito avrebbe senso se le dieci mani fossero tecniche ben definite, ma sono solo principi. “Solo” si fa per dire: è proprio per questo che possono essere usate in diversissime occasioni: colpi, leve, proiezioni, rotture, etc.
Torniamo però alla nostra quinta della classe, quinta per ordine ma non per efficacia: Daai Maa Gwai Cou, ovvero <<(Prendere le) Briglie del cavallo e portarlo alla stalla>> (Zanetti 2013, p. 123). Provate a pensare al gesto che tutto questo vi suggerisce, e più o meno avrete capito come funziona. Per una visione un po’ più realistica, il cavallo è ovviamente l’avversario e le briglie potrebbero essere le sue braccia, o anche solo un arto.
Disclocare le giunture, proiettare a terra o lanciare cinematograficamente l’avversario causando un fragoroso crash su una vetrina in un centro commerciale. Come si dice spesso, la forza del Kung Fu è il cambiamento. La sua anima taoista, l’adattamento, <<be water, my friend>> e <<segui le mosse dell’avversario e dimenticati di te stesso>>. Quindi anche la nostra mano che uccide può ben adattarsi, ad esempio se l’avversario viene tirato non per essere proiettato, ma semplicemente verso di noi per potergli stampare un bel pugno d’incontro sul naso. Esattamente come i Wing Chun men usano spesso il loro Lap Sao.
Quello che conta, ancora una volta, è lo San Fat, il movimento corretto del corpo. Se infatti ci piace la variante cinematografica della vetrina, alla nostra già necessariamente collaudata forza e stazza andrà aggiunto uno scatto d’anca da fare invidia a una catapulta. Altrimenti lanceremo solo fuscelli, e l’Hung Gar non è esattamente il lancio del giavellotto.
La forza… E usare la forza dell’avversario? C’è spazio anche per quest’altro grande principio del Kung Fu. Basta che il nostro aggressore sia sbilanciato in avanti e troppo irruente. Se particolarmente arrabbiato, infatti, potrebbe verosimilmente dare inizio a una di quelle dinamiche da strada in cui non si va tanto per il sottile, dove si parte di gran carriera per mettere KO l’altro con un colpo che abbia dietro una rincorsa da salto in alto. A questo punto, invece di opporre resistenza, possiamo prendere il nostro cavallo e tirarlo nella stalla: se riusciamo in qualche modo a far presa su qualche punto del corpo dell’avversario basterà indirizzare la sua spinta esattamente nella direzione in cui vuole andare. Aggiungiamoci il nostro scatto d’anca, i gomiti stretti per non dissipare energia, una posizione comunque radicata in modo da non volare noi con lui e stiamo a guardare.
Nel video potete notare, al minuto 5.30, una versione di Daai Maa Gwai Cou di un maestro newyorkese. Il video è tutto sulle dieci mani che uccidono, ma come vi ho già detto in precedenza esistono molte interpretazioni di queste ultime e questa è diversa da quella di Zanetti. Per quanto riguarda però <<(Prendere le) Briglie del cavallo e portarlo alla stalla>>, siamo sostanzialmente davanti alla stessa cosa. Questo maestro però, invece di proiettare, compie una rottura del collo.