Franco Franchi e Bruce Lee. Ku Fu? Dalla Sicilia con furore

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dalla sicilia con furoreVoglio parlarvi di una parodia delle arti marziali davvero unica nel suo genere e tutta italiana. Si tratta di quei due mattacchioni che han dedicato un bel pezzo della loro carriera alla commedia demenziale all´italiana: Franco e Ciccio. A dir la verità soltanto Franco Franchi, dato che Ciccio Ingrassia non compare nel film Ku-Fu? Dalla Sicilia con furore. Un film che più che commedia è un comico, termine oramai del tutto inusuale per descrivere quel genere di pellicole che presentano un’ironia tanto assurda quanto “infantile”. Non che questo sia un male: i protagonisti non sono i soliti commedianti spiritosi à la Vincenzo Salemme o Alessandro Siani. Sono piuttosto semplicemente “idioti” e per questo fanno ridere.

Il film esce nelle sale nel 1973, anno della morte di Bruce Lee. È proprio di quest’ultimo che Franco incarna prima di tutto la parodia. Egli è un impacciato praticante di Kung Fu che si allena in una campagna siciliana con un maestro di nome Don Vito. Un maestro, però, del contrabbando di riso da Palermo a Pechino! Don Vito promette la mano della figlia a Franco a patto che questi vinca un torneo di arti marziali che mette in palio un posto di lavoro che lo renderebbe «colui che comanda tutta Roma». Franco si dirige quindi verso la capitale e muove i primi passi davanti al Colosseo, che era stato qualche anno prima il teatro dell’epico scontro tra Bruce Lee e Chuck Norris. I primi cazzotti volano, come fu già per Chen, in un ristorante cinese in cui fa da padrona una fastidiosa comitiva di bulli italiani. Ma mentre Chen le dava di santa ragione a tutti, Franco se le prende di brutto e solo l’intervento del padrone del locale seda gli animi. Quest’ultimo si chiama Kekkor, nome completo Kekkor Nuto. Uomo dal palato insaziabile e dalla testa dura, tanto da rendere la «capocciata» romana il suo colpo segreto invincibile.

Don Vito manda Franco dal maestro Kon Chi Lai, grande esperto di Kung Fu che ha una scuola a Roma. Appena arriva, però, Franco si rivela indegno di imparare l’arte suprema perché se le prende anche dal miglior allievo del maestro, un tale Aldo Maram, cioè Maramaldo (che ovviamente del grande condottiero non ha proprio nulla). Un tale Attila è invece allievo del malvagio maestro Lho Kon Tè e concorrerà al titolo a cui aspira anche Franco. Lho Kon Te fa venire a Roma tre killer orientali che sembrano essere uno cinese, uno giapponese e uno indiano: Tutti Li Tui, Ki Kaka Mai e Va a Fan. Imbattibili e capaci di altissimi salti e ardue prove di forza come mangiare spade, far volare incudini a suon di testate e piegare aste d’acciaio con il collo, si beffano di Franco ma non di Kekkor Nuto, la cui testata non risparmia nemmeno loro.

Sembrano non esserci speranze, se non che il maestro Kon Chi Lai porta Franco in campagna per insegnargli il letale segreto del Kung Fu: la terribile mano di Travertino, che non è un antico maestro ma la roccia spesso usata a Roma per le sculture intorno al 1000 a.C. La tecnica è tale da far saltare in aria una casa, se non fosse che maestro e allievo non sanno che la reale causa dell’esplosione è che alcuni minatori avevano piazzato dell’esplosivo per demolire la struttura. La detonazione avviene proprio nel momento in cui Franco colpisce un muro e l’equivoco è bell’e pronto. Franco viene quindi nuovamente sconfitto dai tre killer spietati.

Ad alleviare le sue pene c’è però la bellissima figlia di Kekkor Nuto, Unci Vuncia, che si esibisce in noiosissimi siparietti musicali al ristorante del padre. Lo cura e lo consola, e addirittura gli dà qualche dritta per battere Attila al torneo. Per essere sicuro che il suo allievo non avesse degni rivali, Lho Kon Tè aveva provveduto a mandare un tale Strozzi a riscuotere una cambiale che Franco aveva firmato per comprare un po’ di abbigliamento marziale. Il potere del creditore è tale da ferire la mano di Travertino con un solo morso. Niente paura: Unci Vuncia ricorre all’agopuntura e Franco riacquista l’uso della mano. A questo punto si dirige verso il luogo del torneo e, sebbene in ritardo, arriva e batte Attila. Con la letale mano? No: con la dritta che Unci Vuncia gli aveva dato, ovvero la parrucca del padre rinforzata d’acciaio, che si scopre quindi essere il segreto della potente testata di Kekkor Nuto. Nel finale Franco riesce a dare una lezione anche ai tre killer e questa volta usando però soltanto il suo estro comico: li copre di birra, farina, cibo cinese e li costringe a tirarsi vicendevolmente una bella capocciata risolutiva. Diventa quindi il padrone di Roma… si, ma solo perché quel posto di lavoro era da vigile urbano, e in quanto tale egli comanda adesso tutto il traffico del centro e con esso la mobilità e il tran tran quotidiano della capitale.
Se amate il comico italiano degli anni 60-70, Ku Fu? Da Sicilia con furore vi divertirà sicuramente, ancora di più se siete fan di Franco e Ciccio. La parodia di Bruce Lee è abbastanza evidente sin dall’abbigliamento e dagli ammiccamenti di Franco: kimono sbottonato, pantaloni corti, dita che sfiorano il naso, pugni serrati in segno di minaccia per i cattivi. Ai più giovani e ben lontani da quella cultura cinematografica il film sembrerà invece di una banalità noiosa e demenziale: per tutta l’ora e mezza di pellicola non si fa altro che urlare e agitare le mani a vuoto.

Questo è un film che va guardato sapendo di chi si sta parlando e contestualizzandolo nel proprio periodo storico, altrimenti si rischia di giudicarlo addirittura insensibile se non a tratti un po’ razzista. La figura del tipico uomo cinese che ne emerge è infatti quella di un omino piccolo e stupido, che non riesce mai a stare fermo e a smettere di ridere. Affetto da un tremore quasi da Parkinson come il cameriere del ristorante, l’alternativa a questo prototipo è quella dell’artista marziale silenzioso ma sempre arrabbiato e pronto a gridare e a spaccare qualcosa senza un buon motivo. La cultura cinese fa la figura di quella che serve da mangiare le peggiori schifezze, dai vermi agli spiedini di scarafaggio, di quella dei cappelli di bambù a cono chiamati dǒu lì, delle biciclette sgangherate che bloccano il traffico della capitale occidentale, per contro tecnologica e progredita.
E il Kung fu? Fa la figura di un’arte marziale che parla parla ma alla resa dei conti è meglio una bella <<capocciata romana>>. Alla fine ci sta: è una parodia. Ma non possiamo non notare che gli autori hanno fatto veramente una ricerca quasi inesistente sull’oggetto da parodiare: si parla di Kung Fu ma si vedono allenamenti di Ju Do, si parla di Cina ma si vedono kimono giapponesi, a volte non si sa nemmeno di che arte marziale si stia parlando. Ripeto: ci sta perché è una parodia. E a quei due mattacchioni di Franco e Ciccio si può concedere anche questo.

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