Errare humanum est, perseverare autem diabolicum: voi che dite?

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L’errore è umano, e nelle arti marziali credo che non sempre perseverare sia poi così diabolico.
Sono arti aleatorie, dove il determinismo e il fatalismo possono essere le armi con cui si difende la propria modalità di pratica dell’arte, ma non l’arte stessa. Fuori dal linguaggio filosofico: se prendo un pugno sbaglio umanamente, ma se lo riprendo non sono ancora dannato all’inferno. Probabilmente non lo sarò mai, perché «i colpi si danno e si prendono». Sono convinto che questo sia assolutamente vero, a meno di non finire in un film. A ben vedere però anche lì i colpi si danno e si prendono: Bruce Lee aveva un labbro gonfio anche se aveva appena battuto Chuck Norris (noooo….bestemmia). Quindi pure al cinema, tanto demonizzato come ciò che insegna ai profani un’arte mitologica e non reale, l’arte non è perfetta!
E voi direte che è evidente. Vi ripeto che sono d’accordo, però a ragionare siamo tutti d’accordo sempre. Non siamo mica degli imbecilli, sappiamo bene che a parte Chuck Norris non si può essere perfettamente invincibili. Le cose però si mettono diversamente quando entriamo nella pratica: un maestro è decisamente turbato quando un allievo lo colpisce. L’allievo poi, cosa ancora peggiore, pensa fra sé e sé «oddio, sono un grande: ho menato il Maestro». Si ragazzi, fatevi sta bella risata che ci vuole. È infatti cosa da ridere, se non fosse che succede poi spessissimo.
Riverenza al Maestro che è sacro: poi però non lo si rispetta come tale. Efficace, potente, devastante: poi però, usciti da parole scritte e dette, poco contatto e concretezza. Sono due esempi dell’ipocrisia in cui ci si imbatte spesso nel nostro mondo.

Informazione ce ne è tanta e la nostra rivista si dedica ad un pubblico molto elitario. Molto spesso chi apre internet per guardare qualcosa sulle arti marziali ne sa già parecchio. I commenti che lasciate sono la prova della vostra preparazione. L’informazione facciamola che serve sempre, ma le voci che vogliono cambiare in meglio devono essere eversive. Quindi io parlo (scrivo) con tutti i maestri e con nessuno attraverso Kung Fu Life. Sollevo polvere per vedere chi di voi voglia provare a dissolverla, piuttosto che chiudersi nella propria tenda privata per ripararsi.
Torniamo al famoso maestro appena colpito dall’allievo. Ahi, grande ferita nell’orgoglio…Lì bisogna fare molta attenzione: se si incassa troppo una ferita del genere e non si trova il modo di sanarla, potrebbe instaurarsi una pericolosa condizione. Il maestro si espone di meno: non vorrà mica ferirsi (nell’orgoglio) di nuovo. «Fai piano che se no non capisci», e si va avanti. Ad un certo punto succede che in quella palestra il maestro non è mai stato visto essere colpito da qualche allievo. E via il mito: il Maestro è intoccabile, inutile provarci, torna a casa sempre senza lividi. Il circolo si autoalimenta e via dicendo.
Come ne usciamo? Ancora una volta bisogna tornare all’arte in quanto tale. Razionalmente sappiamo tutti che l’arte serve per sopravvivere in uno scontro. Quindi non si tratta di essere colpiti: è evidente che si può sopravvivere anche con qualche livido. Il tutto però si gioca su un piano diverso da quello verbale-razionale: «ferita nell’orgoglio» significa spostarsi sul piano emotivo. Paure, insicurezze, dubbi sono umani e non diabolici, quindi toccano anche il maestro. Non bisogna sottrarsi dall’affrontarli: è molto importante riconoscerli e superarli. E quindi torniamo all’arte: il maestro non insegna per insegnare, ma insegna per allenarsi. Il suo percorso è arrivato al livello in cui insegnare gli serve per imparare. La figura del Maestro fermo o che passeggia scrutando con un’aurea quasi divina sarebbe proprio da cancellare. I migliori sono quelli che si allenano, sbagliano, perseverano, si fanno male e migliorano. E poi insegnano quello che hanno imparato. L’allievo colpisce e il maestro viene colpito. Il maestro si ingegna e cerca di capire perché e dove ha sbagliato. Si allena e migliora. Torna dall’allievo e gli insegna a difendersi dallo stesso colpo che quest’ultimo gli aveva dato all’inizio. L’allievo è fondamentale: da lui comincia e finisce tutto, è la vera messa in discussione del maestro. Di quello che non si sottrae, ovviamente.
Una cosa deve essere chiara però: se questo abile allievo comincia a raccontarsi che ha menato il maestro, il tutto cade. Alla fine si potrebbe pericolosamente finire con il maestro che è costretto a mettere KO il suo presuntuoso allievo solo per dimostrare chi è chi. Il circolo non è più fruttuosamente didattico: si trasforma in una lotta come quella che fanno i leoni per stabilire chi è il maschio alpha.

Personalmente, io cerco di colpire sempre il mio maestro (se lui mi dice che ci stiamo allenando al combattimento, ovviamente), ma lo so benissimo chi sono io e chi è lui. Non ha bisogno di dimostrarmi nulla, anzi per me è meglio che lui migliori: se lo raggiungo poi devo cercarmene un altro! Il maestro sveglio non confonde la determinazione con la presunzione.
Non sono per niente d’accordo con il detto secondo cui «ogni maestro ha gli allievi che si merita», oppure il complementare «ogni allievo ha il maestro che si merita». Frasi assolutizzanti, che non colgono la variabilità delle situazioni, degli individui, le circostanze. Che ognuno faccia la propria parte. Possibilmente quella giusta.

3 risposte

  1. Mi convinco sempre di più che insegnare è ancora più bello che imparare, perchè quando impari, non sai che stai anche insegnando, ma quando insegni sei certo anche di imparare e questa consapevolezza mi rende davvero appagato.

  2. Condivido il pensiero del Maestro Derosa.
    Avere allievi che imparano, migliorano, progrediscono ti danno lo stimolo per non fermarti mai.
    E quindi è tutta una conseguenza di apprendimento da entrambe le parti.
    Alex

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