Così Sifu Sergio Iadarola turbò le mie certezze

Argomenti del post

sergio iadarola

Facevo lezione agli allievi della mia scuola, in particolare di Wing Chun e Jeet Kune Do. Il nostro modo di intendere questi due stili è esemplificato dalla sigla IMS: Infinity Martial System, sistema basato appunto su Wing Chun e Jeet Kune Do e fondato dal Maestro Giuseppe De Rosa. Mi sono venute in mente le parole del Maestro Sergio Iadarola, un altro bravissimo Sifu di Wing Tjun:

« Quando vado a mangiare la pizza vado a Napoli, non la vado a mangiare ad Amsterdam»; «Non stiamo parlando di macchine: quello che c’era una volta è meglio di quello che c’è adesso».

Insomma, tra i due Sifu Giuseppe De Rosa e Sergio Iadarola si pone un oceano di differenze: la tradizione e l’evoluzione. Un tema carissimo a Kung Fu Life, come potete leggere nei post L’evoluzione fa specie e Mettere in discussione la tradizione la mantiene viva .
L’IMS si pone come una evoluzione teorico-tecnica del Wing Chun e del Jeet Kune Do, che trova il suo senso nello sposare in maniera del tutto personale queste sue due componenti: la tecnica fluida e adattabile dello stile di Ip Man con la teoria del “non limite come limite” (infinity, appunto) di Bruce Lee. Il risultato è un Wing Chun aperto all’evoluzione, a un approccio non classico e molto attento al variegatissimo mondo marziale che abbiamo oggi intorno e che era impossibile immaginare in una Foshan di qualche secolo fa.
Il Wing Tjun Iadaroliano si basa invece proprio sul recupero dell’antica arte nel proprio luogo d’origine: come fu Napoli per la pizza, furono Foshan e Hong Kong per il Wing Chun. Badare bene: è un recupero tanto spaziale quanto temporale. Sifu Sergio infatti vive praticamente in Cina, ma quello che cerca di recuperare non è il Wing Chun di oggi: è proprio quello delle origini. D’altronde non si sta parlando di macchine, sostiene, che sono meglio oggi che prima.

statue foshan

Da insegnante di IMS, immaginerete quale possa essere la mia posizione a riguardo. Devo dire però che il discorso che il Maestro Iadarola fece ai microfoni di Kung Fu Life al Festival d’Oriente di Massa Carrara mi ha fatto riflettere non poco. Direi quasi che mi ha turbato. Un vero evoluzionista ha il compito deontologico di mettere in discussione il passato in vista del miglioramento futuro. Va da sé che deve concedere ad ogni opinione il beneficio del dubbio e la reale possibilità che possa essere convincente. Devo quindi riconoscere che la storia delle macchine è parecchio interessante. È giusto: oggi la tecnologia fa passi da gigante ed è quindi meglio di quella di 50 anni fa. Abbiamo il servosterzo e l’ ABS che prima non c’erano, così come l’ iPhone e l’ iPad. Il combattimento corpo a corpo, invece, se ha fatto passi li ha fatti indietro: oggi le diatribe si risolvono con gli avvocati, ci sono diritti che non consentono la violenza fisica. Le controversie si avvalgono della diplomazia e se proprio si arriva alla guerra ci sono armi da fuoco, bombe, armi batteriologiche o nucleari. Quindi erano molto più bravi una volta a combattere corpo a corpo e senza regole, a morire e uccidere a mani nude.

Ad uno come Iadarola si deve concedere il beneficio del dubbio quasi a prescindere, data la sua preparazione e abilità. Ma in più c’è da dire che il suo discorso in questo caso non fa una grinza di per sé.
Bene, ero a lezione con i miei allievi, quando mi si è affacciato alla mente un pensiero. Non diciamo una folgorazione, ma comunque qualcosa che ha decisamente mitigato il mio turbamento che Sifu Sergio aveva causato durante quell’intervista. Il ragionamento che il Maestro fa è riassumibile in questo modo:

«una volta i guerrieri erano meglio perché combattevano davvero, facevano sul serio. Mica come oggi che ci sono altre modalità di scontro/guerra etc. Di conseguenza il Kung fu di una volta era meglio di quello odierno. Allora me ne vado dove è nato per recuperarlo e studiare il migliore che ci sia».

Ed ecco il Wing Tjun. A mio avviso, però, in questo ragionamento c’è un’incongruenza che ne attenua drasticamente la portata.
Quando si decide di andare a Napoli per mangiare la pizza, si può sostenere che i napoletani sappiano farla meglio degli altri. Ma la pizza la fanno ancora oggi e un po’ dappertutto, mentre per prima si era detto che oggi non si combatte più corpo a corpo. Infatti esistono piazzaioli emiliani, pugliesi, lombardi, piemontesi e addirittura stranieri che fanno una pizza eccellente. L’evoluzione in questi casi consiste proprio nell’aver la pizza varcato i confini partenopei ed essersi avvalsa di esperienze forestiere. Molte pizze da leccarsi i baffi hanno ingredienti, nomi e gusti ben lontani da quelli che poteva immaginare la Napoli pizzaiola delle origini.

monaci shaolin allenamento

Quello che si dovrebbe andare a ricercare e recuperare non è il sistema di Kung Fu in quanto tale, considerato nel suo contenuto. In altri termini, non è il «a Foshan le gambe si tenevano così e il tan sao si faceva cosà» che rende i nostri avi dei combattenti migliori. Bisogna recuperare invece il loro metodo, e per questo vi rimando all’articolo Questioni di metodo sul numero 4 di Kung Fu Life. Intendo dire che il sistema in quanto tale si basava sulle esperienze, le necessità e le priorità dei combattenti del tempo. Per esempio: se gli avversari erano orientali, come è verosimile pensare, combattevano da orientali e quindi con qualcosa di simile al Kung Fu. Oggi però abbiamo incontrato le arti occidentali, la fisicità occidentale e addirittura la notevole stazza degli africani. Quello che dovremmo fare non è allora copiare agli antichi il sistema, ma il metodo: ovvero prendere coscienza del contesto marziale in cui viviamo e lasciare che la nostra arte vi si rapporti adeguatamente e secondo le giuste necessità e priorità. Gli antichi combattenti non erano migliori perché il loro sistema era migliore, ma perché si allenavano tantissimo e secondo una mentalità che aveva come obiettivo principale la sopravvivenza e non il recupero della tradizione. Oggi siamo peggio dei gladiatori dell’antica Roma perché ci alleniamo due volte a settimana per un’ora e non perché il sistema sia peggiore. Se dovessimo imparare a sopravvivere a mani nude, quello che dovremmo fare non è recuperare un sistema antico da sostituire al nostro ma semplicemente allenarci molto di più, come facevano una volta. Come facevano una volta e non cosa!!!

Insomma, ripesco volentieri Bruce Lee:

«Se non siete disposti al sacrificio e ad allenarvi con impegno e fatica costante, sarà meglio per voi che vi prendiate una guardia del corpo».

Possiamo essere guerrieri assolutamente alla stregua degli antichi, basta che mettiamo nel nostro allenamento lo stesso impegno che mettevano loro. Anzi: potremmo anche essere meglio, visto che la globalizzazione ci ha fatto conoscere le arti marziali di tutto il mondo e il bagaglio tecnico è quindi passibile di espandersi molto di più.

18 risposte

  1. Forse mi ripeterò, ma questa esplosione di arti da difesa (mi riferisco agli ultimi 2/3 anni) fa riflettere. Tutto dipende dal contesto in cui ci si vuole inserire. L’efficacia di una tecnica da combattimento va studiata e applicata su tutte le tipologie di persone. Parliamoci chiaro: applicare una tecnica di attacco su una donna esile fa discutere. Immaginate un gigante di 90 kg che vuole aggredire una donna di 50 kg….cosa succede? Bè le risposte sono molte ma è verosimile che la donna possa soccombere.
    Ma dove voglio arrivare? Una volta c’erano guerrieri donna? Forse si ma ho dei seri dubbi. Mi potrete smentire. Il lavoro da guerriero, della difesa del casato, ecc….quasi sempre era destinato a uomini.
    Oggi però per pubblicizzare (anche se non sempre per fortuna) la propria arte si vendono pacchetti formativi marziali per donne. Detto questo rispondendo al quesito posto dal Maestro Bonifati non posso che essere in disaccordo con il concetto del Maestro Iadarola. se rimani ancorato al passato non puo’ esserci quell’evoluzione che potrebbe aiutare anche la donna.
    Si lo so, la leggenda dice che una donna ha inventato il wing chun. Mi scuserete se col tempo sono diventato molto pragmatico, scettico e come san tommaso.
    vedere per credere ormai è il mio credo. e onestamente in una società patriarcale come quella cinese di oggi dubito che possa esserci una storia dove 1000 anni fa la donna aveva la possibilità di dire la propria.
    Scusate l’italiano…..ma ho speso velocemente questi 2 minuti (anche se non sono suff perchè i concetti da esprimere sono tanti) per dare la mia opinione.

    Ciao a tutti e complimenti
    Alex

    1. Vedi, il tuo discorso si installa allo stesso livello di quello del Maestro Iadarola e del Maestro De Rosa, e in quanto tale ti poni come un puro evoluzionista. Sai che sono d’accordo.

      Per una volta però vorrei che dal mio post trasparisse anche un’altro senso, un’altra volontà. Al centro del post c’è la consapevolezza maturata quella sera che non bisogna confondere il METODO con l’ONTOLOGIA. Significa che non bisogna confondere il modo formale di procedere con quello inerente ai contenuti materiali di per sè.

      un esempio: la fisica in quanto scienza naturale si basa sul principio di non contraddizione, ovvero su una logica formale classica.

      Contenuti materiali della fisica: corpi, forze, spazio, tempo
      Logica formale della fisica: principio di non contraddizione, che conferisce senso a frasi come “lo spazio non è il tempo, cioè il tempo è cosa diversa dallo spazio e in quanto tale definibile di per sè e diversamente e misurabile diversamente (le ore non sono i metri)”.

      La fisica quantistica post-relativistica è invece differente NON perchè si occupa di concetti nuovi come energia, anno luce, continuum tempo-spazio e tutto il resto. è differente perchè la sua logica formale si basa su un principio di non contraddizione ripensato primariamente a livello metodologico. esempio analogo:

      Contenuti materiali della fisica quantistica/relativistica: energia, continuum, stringhe, indeterminazione.
      Logica formale della fisica quantistica/relativistica: principio di non contraddizione mutuato fortemente da quello di indeterminazione di Eisemberg, che in quanto tale è una componente LOGICO-FORMALE del METODO ermeneutico e fondativo della disciplina stessa. Allora qui è possibile arrivare a dire che “il tempo è lo spazio” proprio perchè la LOGICA in cui i due concetti sono pensati è differente da prima. proprio per questo l’anno-luce è una misura di spazio possibile solo con una determinante temporale che la relativizza. il minuto è di per sè misura assoluta, ovvero piuttosto indipendente dallo spazio. l’anno-luce (cioè la distanza che la luce percorre nel vuoto in un anno terrestre) contiene intrinsecamente nella propria essenza questo ripensamento per cui lo spazio e il tempo non sono cose diverse, ma sono appunto lo spazio-tempo!

      “CONFONDERE IL METODO CON L’ONTOLOGIA” significherebbe cercare di costruire una macchina del tempo come se fosse un pulman che da Torino vuole andare a Milano, oppure un’astronave da mandare in un’altra galassia e montargli un contachilometri di una Ferrari: quell’astronave sarà costretta a superare la velocità della luce (non importa adesso se ciò sia impossibile) e quindi non potrà mai considerare il tempo e lo spazio cose differenti, come una pur velocissima Ferrari nel mondo quotidiano newtoniano.

      Il Maestro Iadarola cerca di fare un viaggio indietro nel tempo come se dovesse andare spazialmente in Cina. Per andare indietro però a volte bisogna andare avanti, più che il contrario.

      Ciò che conta era il METODO LOGICO di procedere degli antichi guerrieri, non il loro sistema in quanto materiale. perchè questo acquisisce il suo senso solo dopo un conferimento del significato da parte di una relazione che giocoforza si origina da un determinato tipo di logica formale fondativa.

      forse sono stato un pò troppo tecnico e quindi poco comprensibile, ma alcune riflessioni vale la pena raccontarle anche per quelle che sono e come sono venute alla luce.

    2. Signor Alex a prescindere dalla monaca Ng Mui il wing chun ha avuto come esponente il maestro Yip che non pesava più di 50 kg pertanto la disciplina in se potrebbe essere maneggiata da una donna odierna di 65/70 kg. Per quanto riguarda il patriarcato oggi non esiste più quasi in nessun posto e spesso viene tirato fuori in maniera pretestuosa(sia chiaro che non mi sto riferendo a lei ). Un distinto saluto!

  2. Scusate sono sempre io. Ho riletto cio’ che ho scritto (ripeto scusate se i concetti sono poco chiari). non vorrei trasparisse che sono contrario alla formazione delle donne o che esse possano essere in grado di difendersi. tutt’altro. sposando l’evoluzione dei sistemi mi auguro che possano essere anche + forti.

  3. Concordo al punto che vado oltre.
    L’evoluzione è inarrestabile, c’è sempre stata e ci sarà sempre, era un’evoluzionista Ng Mui, era un’evoluzionista colui o colei che ha inventato “l’omino di legno”, penso che all’epoca qualcuno avrebbe anche potuto dire:
    “guarda un pò quel fighettino, si allena con un tronco levigato, mentre noi ci facciamo le ossa direttamente sugli alberi”,
    era un’evoluzionista Bruce Lee con il suo Jeet Kune Do, è un evoluzionista il grande Emin Boztepe che è stato uno dei primi a creare dei programmi specifici di anti lotta a terra, sicuramente sarà un evoluzionista anche Iadarola che intanto cerca costantemente una sua personale evoluzione e sicuramente anche a livello metodologico ci mette del suo…
    Concordo con te Mark Bonifati quando dici che:
    “Quello che dovremmo fare non è allora copiare agli antichi il sistema, ma il metodo: ovvero prendere coscienza del contesto marziale in cui viviamo e lasciare che la nostra arte vi si rapporti adeguatamente e secondo le giuste necessità e priorità”,
    ma consentimi, io con un pò di audacia vado ancora oltre, a mio avviso anche il metodo si evolve, oggi si hanno conoscenze che solo 50 anni fa non esistevano, magari venivano ipotizzate dai più attenti, ma ancora non erano certezze, la scienza ci insegna che ogni giorno si conoscono nuove cose sul nostro corpo, sulla nostra postura, del nostro cervello ad esempio ogni giorno si conoscono cose nuove quindi, e concludo, anche le metodologie di allenamento per rafforzare il corpo e per affinare la tecnica sono sempre e costantemente in evoluzione.
    In sintesi “Bisogna conoscere il passato per creare il futuro!”
    Ad majora! Giuseppe De Rosa (fondatore Infinity Martial System)

    1. Maestro le tue riflessioni sono molto interessanti e aggiungono enfasi e contenuto al tutto. sono d’accordo con te: quando infatti scrivo “metodo” non intendo il metodo di allenamento: quest’ultimo è sempre una cosa inerente al sistema e interna ad esso. per esempio: lo stile wing chun ha il chisao e l’hung gar no, e il chisao non è una tecnica (per es bong sao) ma un metodo di allenamento. è quindi esatto dire che si evolve anche il metodo: il chisao IMS non è quello WT per esempio.

      io però con “metodo” intendo, come tempo fa nel mio articolo su Kung fu Life “Questioni di metodo” nella rubrica “Colpi di pensiero”, la mentalità stessa di pensare l’apprendimento e la crescita. quindi qualcosa che sta prima di tutto fuori dal tappeto di pratica! in questo senso è proprio al livello in cui intervenivi tu: il modo di porsi, rapportarsi alla conoscenza di un’arte.

      nel caso di una modalità PURISTA, noi avremo una ricerca volta all’emulare il più possibile un ideale di pratica, un conformarsi ad esso in maniera più fedele possibile.
      nel caso di una modalità EVOLUZIONISTA avrem invece un’apertura di base al contesto in cui una pratica vive e una forte attenzione alla propria disposizione personale più che a quella di qualcun altro: se stessi come modello ultimo, come quid da esprimere.

      nella mia idea, quindi, il praticante di Jun Fan Jeet Kune Do che segue alla lettera il Manuale pratico del JKD di Bruce Lee e cerca di muoversi come Lee è un PURISTA, anche se di solito chi pratica JKD si definisce non tradizionalista e di approccio non classico.

      tu e il tuo IMS, invece, anche instaurandovi in un ambito molto più tradizionale come quello del Wing Chun (e infatti ci tieni al fatto che l’IMS si basi su principi antichi) siete EVOLUZIONISTI per l’apertura mentale e lo spirito di ricerca.

  4. Do’ il mio punto di vista sulla questione: “Gli antichi combattenti non erano migliori perché il loro sistema era migliore, ma perché si allenavano tantissimo e secondo una mentalità che aveva come obiettivo principale la sopravvivenza e non il recupero della tradizione”
    Questa è una cosa su cui ho sempre rifletutto e a cui facendo un po di ricerche storiche non ho mai trovato conferma, anzi: Tutti i grandi guerrieri non passavano molto tempo ad allenarsi,ma riposando. I combattenti dell’età feudale giapponese durante il
    giorno lavoravano la terra o erano sui pescherecci, quindi non si
    “allenavano” nella maniera in cui intediamo noi attualmente il termine .
    Da qui secondo me viene naturale da chiedersi come bisogna porsi nei confronti dell’allenamento e del metodo di combattimento, secondo me proprio in virtu di quello soprariportato, se un sistema di combattimento basa la sua efficacia su di
    un allenamento quotidiano di tre/quattro ore… non è un sistema di
    combattimento efficace. Se si regge su quello allora veramente non è efficace.
    I filippini, questa è una constatazione storica,
    non s’allenano quasi mai. Lavorano duramente durante il giorno con il
    machete. Poi si sono trovati invasi. La loro efficacia era data da poche cose che facevano ad altissimo livello, le cui basi erano radicate nella biomeccanica del lavoro delle cose che facevano tutti i giorni.
    Secondo me questa cosa non puo che far riflettere nell’approccio all’allenamento quotidiano.

    1. io non sono della tua stessa idea, a mio avviso è molto importante la pratica al fine dell’efficacia. la tradizione cinese è sicuramente densa di ore di allenamento dietro tutti gli stili, poi il riposo è una cosa fondamentale e necessaria.
      a mio avviso è rischioso veicolare il messaggio che possiamo anche non allenarci per essere efficaci

  5. A me sembra che ridurre lo studio e la pratica di una arte marziale ad una questine metodologica, di metodo, significa mancare l’essenza non solo di ciò che erano le arti in Cina ma anche l’essenza di ciò che siamo. Certamente c’è un aspetto di metodo che non può essere ignorato, così come nell’arte della calligrafia occorre sapere come prendere il pennello e come usare l’inchiostro. Ben altra cosa è comporre, in un unico movimento, con pochi ideogrammi, qualcosa capace di portare al dire la vita.
    I combattenti dell’antica Cina erano bravi e forti non perché si allenavano molto, e nemmeno perché volevano sopravvivere, forse erano bravi perché in quello che facevano c’era molto di più che un allenamento tecnico e metodologico, c’era la ricerca di qualcosa che va al di là degli aspetti materiali, una ricerca della vita dove perdere a volte può essere meglio che vincere, questo è qualcosa che noi in occidente non comprenderemo mai fino a quando continueremo a cercare solo un modo per imparare a “sopravvivere”, siamo già morti prima ancora di iniziare a studiare.
    Vorrei poi aggiungere una osservazione forse banale, ma a me sembra che in una epoca come la nostra dove chiunque può ucciderti o farti del male senza nemmeno incontrarti di persona, studiare un’arte marziale con lo scopo di avere più possibilità di “sopravvivere” è veramente una perdita di tempo assurda, significa vivere in un film.

    1. beh, lo spirito dell’arte marziale è irriducibilmente quello del guerriero che cerca di tutelarsi. studiarla per quella che è vuol dire non dimenticarselo, poi uno può anche farne solo una pratica da conoscitore dei movimenti di per sè, come se studiasse storia, oppure artistica, per il piacere della fruizione estetica. ma sono del tutto convinto che molto prima dei contenuti si tratti di metodo, che non è il metodo di allenamento: quello è un ‘ altra cosa. il metodo è proprio quello di approccio e tematizzazione dell’evoluzione dell’arte stessa.

      inoltre noi occidentali siamo appunto tali, occidentali. ed è da occidentali che dobbiamo cominciare a studiare, perchè non si tratta di capire, ma di vivere. e noi non abbiamo vissuto l’oriente, nemmeno se ci siamo andati 10 anni tutte le estati,mi spiace.

      trovo la tua osservazione densa di relativismo e quindi di facile fraintendimento metodologico , oltre che decisamente orientaleggiante. hai ragione: l’arte può darti tanto e non solo nel combattimento, anzi probabilmente ti dà molto di più. ma se parti già studiandola come fosse un libro di storia o un quadro, sarà proprio questo quello che imparerai.
      non puoi cominciare s dipingere dicendo che se pensi al pennello sei già morto in partenza, e questo con buona pace di tutto lo zen che vuole che conti solo la mente e non l’arco o la spada

      1. Mark, la mia nota non aveva intenzione di sottovalutare gli aspetti concreti né di polemizzare con chi vuole praticare nel modo che più gli piace, spero quindi che non arrivi come critica a nessuno.
        Detto questo, il fatto che lo Zen “vuole che conti solo la mente e non l’arco o la spada” è una interpretazione infondata dello Zen, non la commenterò prché credo sia inutile, quello che possso dire qui è che non ha fondamento, né nella teoria né tantomeno nella pratica.
        Oriente e Occidente sono solo delle etichette. Bodhidharma arrivò in Cina, a Shaolin, da occidente, per lui la Cina era l’oriente. Non conosceva una parola di cinese eppure ha dato origine ad una tradizione che dura da 1500 anni, è evidente che qualsiasi cosa abbia insegnato (oltre a metodi di allenamento e tecniche da combattimento) non era una questione di tipo “culturale”, tant’è che oggi tu e chiunque altro può volendo ripercorrere la stessa strada e realizzare le stesse cose stando esattamente dove si trova.
        In ogni caso, possiamo certamente fare e cercare quello che più ci piace, otterremo sicuramente quello che cerchiamo.

      2. Ciao Mark, sono d’accordo con te e aggiungo che non è questione di origine, ma di applicabilità dei principi del wing chun. Mi spiego meglio: noi stiamo qui a disquisire di vero/puro stile quando è lapalissiano,che non si riescono ad intravedere le applicazioni secondo le basi dei principi così come vennero sviluppati da Yip Man.Infatti il wing chun recita: liberati dalla tua forza, sfrutta quella dell’avversario etc etc. ma di riscontri in tal senso non se ne vedono perché è assolutamente impensabile, che un uomo di 90 kg di muscoli(il 90% degli istruttori odierni ) applichi le tecniche di Yip Man, un combattente superbo di 50 kg hai voglia di andare in Cina se non si capisce questo. Un carissimo saluto!

        1. Si i effetti il paradosso spesso è questo: istruttori per lo più alti e robusti sono molto più numerosi di quelli smilzi o dalla struttura fisica non forte….proprio in una disciplina come questa…..mah

  6. Una volta chi davvero usava il wushu per combattere in battaglia era preparato e si allenava tutto il giorno tutti i giorni, oggi rimane possibile esclusivamente per i professionisti di qualsiasi disciplina i quali infatti si distinguono. Non si potranno mai raggiungere certi livelli tecnici, di condizionamento ed esperienza nel combattimento non combattendo od allenandosi 3/4 ore la settimana, che è gia una buona media, visti gli impegni ed i ritmi frenetici a cui siamo sottoposti oggi. Giusto per essere coscienti di quello che si fa.

  7. Buonasera, sono Mattia allievo di Franco Regalzi, che sicuramente conoscete. Vorrei sottolineare per prima cosa che parlare di persone sconosciute come Yip man, Bruce Lee non è bello. Io questo lo facevo a 13 anni, poi ho conosciuto il mio Sifu (vero sifu di Wing Chun). Vorrei dire che il Wing Chun è il sistema perfetto, che si basa sulla meccanica del corpo. L’evoluzione, come la chiamate, si chiama business che persone come voi fanno o cercano di fare, questo ha rovinato il Wing Chun. Perchè non venite a Tortona ad allenarvi con noi? Prima a differenza le persone davano e ricevevano rispetto e non parlavano a vanvera. Cosa vuol dire vivere in cina? Ps: Franco Regalzi si è allenato con Sifu Nino Bernardo e Sifu Wong Shun Leung. Aspetto le risposte. Cordialmente Mattia

    1. Guarda, Mattia, la tua opinione è decisamente offensiva perchè Kung Fu Life non ha mai, finora, lavorato e scritto per fini di lucro. Quindi di business non c’è nulla, tantomeno i contenuti di articoli e post. Di mentalità tredicenne, poi, se ne potrebbe parlare a proposito di chi sostiene che il sistema perfetto sia il proprio e non gli altri: questo è decisamente infantile. Non ti accorgi nemmeno che il Wing Chun stesso è una evoluzione di ciò che c’era prima, perciò puoi sbattere la testa finchè vuoi, ma l’evoluzione è parte di ogni cosa viva. Se poi c’è da fermarsi sulle cose morte, allora va bene.

      Noi non parliamo a vanvera, anzi sappiamo benissimo di quello di cui parliamo. Stai tranquillo che, oltre a voi, c’è tanta gente preparata e allenata che però ha il proprio stile assolutamente all’avanguardia. Non veniamo ad allenarci con voi a Tortona perchè non ci interessa studiare Wing Chun tradizionale. E questo ha a che fare con il fatto fisiologico che la gente ha opinioni diverse.
      “Il mio Sifu è il più forte del mondo” è una frase ingenua e decisamente da business. Ti avverto: non ho intenzione di dare avvio ad una polemica, ti ho risposto perchè almeno hai avuto la decenza di scrivere direttamente sul nostro blog e non su facebook.
      Hai quindi avuto la tua risposta. E stai tranquillo che Sergio Iadarola, che non seguo direttamente perchè, al pari di Regalzi non mi interessa, è bravo e preparato almeno quanto il tuo Sifu.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *