Lao Tze e discendenti rivendicano spesso la semplicità e immediatezza del Tao. Più facile a dirsi che a farsi: non so voi, ma io trovo il taoismo e soprattutto le sue applicazioni decisamente complesse. Non si tratta di rivendicare però quella complessità tipica di ogni sistema o argomento degno di uno studio veramente serio. Non solo, almeno: il taoismo è questione serissima, complessissima e quindi più che meritevole di impegno pratico e intellettuale. Non ho qui però intenzione di “sviolinare” la nostra filosofia preferita, che pervade un po’ tutte le arti marziali orientali. La difficoltà del taoismo, ciò che lo rende complesso, è secondo me il modo in cui esso viene usato, applicato come modo per interpretare una determinata realtà.
Una questione interessante è quella inerente al livello della dicotomia Yin/Yang. A che livello va pensata? <<A tutti i livelli>> sembrerebbe una buona risposta, dato che siamo di fronte ad una delle basi metafisiche più solide e importanti di questa filosofia. Una <<metafisica>> è un dominio di cose e relazioni che fa da fondamento a un determinato ambito dell’esperibile. Per esempio nella religione Dio è un’entità metafisica esattamente come lo è il concetto di energia nella fisica quantistica: è quell’insieme di cose su cui poi quella determinata disciplina argomenta. La definizione è un po’ vaga ma sufficiente per questo contesto. Quando dico metafisica non intendo allora qualcosa di astratto, indimostrabile o inesistente. Wittgenstein e Göedel ci hanno insegnato che qualsiasi sistema non può essere validato con le regole che ne fanno parte. Di conseguenza non vale dire che l’energia esiste perché dimostrabile e Dio no perché è indimostrabile, perché il concetto di <<dimostrabilità>> soggiacente alla religione e alla fisica è ben diverso e né l’uno né l’altro possono dimostrare l’esistenza assoluta di qualcuna delle due cose. Per validare uno dei due sistemi bisogna uscire da essi e farlo da fuori. Ed ecco che compare la metafisica: tale per la fisica di aristotelica memoria, meta-religione se pensiamo all’ambito più divino e spirituale. Ma se usciamo da un sistema per guardarlo da fuori dovremo giocoforza lasciare al suo interno le regole e i fondamenti che lo caratterizzano, dato che non ci serviranno per validarlo da fuori. Insomma, fuori ci deve essere qualcos’altro perché altrimenti si dà il via ad un circolo vizioso per cui tutto è lecitamente dimostrabile (e quindi anche nulla). Ne è un esempio la psicoanalisi, per cui puoi dire tutto e il contrario di tutto perché essa pretende di mostrare la propria validità con le proprie stesse regole.
Perché tutta questa premessa così complessa? Perché è proprio questo che fa il taoista ostinato, quando dice che Yin/Yang è una condizione esistente a tutti i livelli. Facciamo qualche esempio pratico. Il concetto di fondo del taoismo è quindi l’equilibrio degli opposti, che nel Tao confluirebbero nell’ <<Uno da cui generano i diecimila esseri>>. Pensiamo a quando ci viene fame. Si instaura una condizione di disequilibrio per cui il nostro corpo ha bisogno di nutrimento per riequilibrarsi e sopravvivere. L’assenza di nutrimento che genera la crescente fame Yang è quindi il nostro Yin. L’equilibrio è dato dall’attività del mangiare. Pensiamo ora alla fame nel mondo, per cui la maggior parte delle risorse è distribuita alla nostra società consumistica e poco o niente al terzo mondo. La situazione è di squilibrio, potrebbe essere ripristinata con una giusta ridistribuzione delle risorse. In questo caso però la carestia potrebbe venire sconfitta e non ci sarebbe la fame nel mondo. Mentre nel caso precedente il bisogno di nutrirsi dà avvio ad un’attività naturale di cibarsi, per cui si ripristina l’equilibrio giusto che elimina gli eccessi sia dell’abbuffarsi sia del digiunare, nel secondo caso la fame è considerata qualcosa da eliminare. Il disequilibrio tra popolazioni povere e ricche non è quindi considerato un segno del divenire di un equilibrio, ma una fase che bisognerebbe rendere definitiva nell’essere-sempre-così. Lo stesso ragionamento, se applicato all’individuo singolo affamato, non sbaglierebbe se suggerisse di modificare il DNA umano per fare in modo che non ci sia più bisogno di scambiare energia con l’ambiente: non avere mai fame, essere ed esistere semplicemente. Come i fantasmi. Questo però è antitaoista: sarebbe una potente azione umana su quella natura che Lao Tzu ci consiglia di lasciare in pace. Perché eliminare del tutto la fame nel mondo sarebbe invece un equilibrio taoista? Non sono l’Yin e lo Yang ad un livello globale?
Possiamo scervellarci, ma restando dentro il taoismo stesso potremo sempre dire tutto e il contrario di tutto, per cui un fervido sostenitore di Amnesty sarebbe taoista quanto uno scienziato pazzo che compie esperimenti genetici su cavie umane per renderle immortali. Giusto, un altro esempio: le cavie. Le malattie sono una perturbazione Yin della salute Yang. Per curarle abbiamo però bisogno di uccidere le cavie: per ripristinare un equilibrio umano ne perturbiamo uno animale. Dove è il taoismo? Per l’animalista da una parte, per il ricercatore convinto dall’altra. Si dirà: ma infatti le medicine orientali non perturbano né le cavie, né la chimica del corpo perché non usano medicinali e quindi non testano nulla su nessuno. Ma questo genere di taoismo si lascia scappare un altro equilibrio: le piante e gli animali non sono complementari? Possiamo uccidere rucole ed eriche per guarire ma non testare sostanze sui topolini? E poi cosa significa che “non perturba la chimica del corpo”? L’adrenalina del ginseng non è una modificazione biochimica? La valeriana non è un sedativo naturale proprio come gli ansiolitici? Si dirà ancora: no, perché la quantità fa meno male ed è inferiore. E chi lo decide qual è la giusta ed equilibrata quantità taoista? Senza scienza non si avrebbe avuto un aumento dell’età media. Quindi il taoismo del singolo ci vuole omeopatici, quello globale vuole cha mandiamo i medici a curare la malaria. Gli porteremo i fiori di Bach?
In fin dei conti, non possiamo rispondere a queste domande rimanendo dentro il taoismo stesso. Non penso sia quindi possibile dire che il Tao si dimostra da sé. Non più dell’essere parmenideo. Che cosa troveremo però appena fuori da ogni metafisica taoista? Solo noi stessi: uomini. Da lì non si scappa.
Vi lascio con una bella questione. Un uomo aggredisce un altro uomo con un potente pugno. La vittima si domanda: <paro mi difendo, quindi attacco/difesa è taoista. Ma oppongo forza contro forza, quindi non lo è. Se fuggo mi preservo la vita, quindi è vita/morte, taoistissimo. Però è un buon modo per farmi inseguire: lui mi rincorre tutto Yang, io scappo tutto Yin. Beh, magari ci sta pure: scappare/rincorrere è coppia di opposti. Ma se mantengo questi opposti non restauro l’equilibrio di prima: il problema rimane, ovvero l’aggressione deve fare i conti solo con lo spazio, il fiato e la velocità del malintenzionato. Se lo colpisco intercettandolo stile Wing Chun o Jeet Kune Do, a sua aggressione metto una mia contro-aggressione: non è forse più taoista schivare, spostarsi. Magari continuamente, così il divenire colpo/schivata non si arresta mai. Ma se questo non si arresta, la condizione di equilibrio primaria, ovvero la mia tranquillità in santa pace, non sarà affatto taoista: resterà perturbata>>.
Proviamo a pensare a come il taoismo viene applicato alle arti marziali dal punto di vista tecnico. Sono del tutto convinto che sia possibile sostenere che qualsiasi tecnica è taoista, basta solo scegliersi il livello che si preferisce. Restando dentro il sistema, non se ne verrà mai a capo.
2 risposte
Ciao Mark, articolo interessante!
Ti dirò la mia opinione anche se si tratta di un argomento complesso e che devo anch’io sicuramente portare avanti e approfondire.
A mio parere c’è un presupposto non corretto a monte di tutto il tuo ragionamento (se mi posso permettere e se ho compreso bene il tuo approccio), ovvero che ci sia un modo o che si debba in qualche modo “sfruttare il Tao” (o la propria comprensione del Taoismo) per ottenere un proprio fine o scopo.
Noi occidentali siamo appunto abituati a ragionare per obiettivi e questo ci porta a vedere anche il Taoismo come un “mezzo” per ottenere qualcosa (per raggiungere l’equilibrio interiore, per fare la cosa “giusta” al momento “giusto”, etc…).
Credo invece che al massimo il Tao si possa tentare di comprenderlo o di “viverlo” interiormente, ma noi non possiamo realmente agire o influenzare gli eventi tramite la comprensione del Tao. La verità è che qualsiasi cosa facciamo, qualsiasi evento capiti esso è già all’interno del Tao stesso! Anche quando ci sembra che un modo di fare o un evento siano apertamente in contrasto con i principi del Tao, essi trovano comunque una collocazione all’interno del Tao.
La filosofia Taoista credo che tenti più che altro di aiutarci a comprendere gli eventi per eventualmente viverli in modo più sereno e distaccato, affidandoci appunto al Tao che tutto regola e tutto comprende.
L’applicazione soggettiva o individuale del Taoismo per ottenere dei vantaggi personali (nella vita, durante un combattimento di KungFu, o altro…) probabilmente sono già in sé un modo di snaturare il Taoismo stesso, o forse permettono di avvantaggiarsi grazie ad una migliore conoscenza (e quindi gestione) degli eventi che normalmente sono il divenire del Tao stesso.
A tal proposito mi viene in mente una espressione molto succinta che hanno gli americani per spiegare in breve la filosofia Taoista e che secondo me può essere un modo pratico e rapido per dare l’idea alla base del Taoismo: “Shit happens!” 😉
Un saluto e grazie per i tuoi articoli.
Grazie per le riflessioni! Le ho trovate molto interessanti e decisamente in linea con lo spirito taoista della non-azione. Il discorso che fai è a mio avviso corretto, e proprio per questo mi sembra che si sposi perfettamente con il mio pensiero nel post.
è esattamente come hai detto tu: nel post c’è un presupposto, ovvero che il Tao possa essere compreso per un approccio attivo ad esso.
è per questo che parlo di “epistemologia” e non di ontologia o metafisica: il post si chiede se sia possibile interrogarsi intorno al Tao con i suoi stessi mezzi.
La risposta che tu dai è illuminante perchè dice proprio che non c’è nulla da chiedere e da comprendere. sono del tutto d’accordo: secondo il taoismo il Tao va semplicemente accettato perchè esso è tutto e tutto ha in sè.
Questa posizione è evidentemente metafisica: come i concetti di Dio e di energia, il taoista dice che “il Tao è”.
La mia questione è proprio questa qui: una volta appurata la portata metafisica del concetto, come facciamo ad argomentare attivamente su di esso? per fare questo non è più possibile usare il dominio metafisico che ci dice che “il tao semplicemente c’è” perchè è proprio oltre questo che si spinge la domanda.
ed è per questo che si tratta di epistemologia, ovvero di un discorso intorno al nostro modo di concepire e conoscere il tao e non di ontologia, ovvero delle determinanti metafisiche del tao stesso.
fuori dai paroloni, sono d’accordo con te e aggiungo solo che il post è volutamente andato a chiedersi quello che tu chiami “presupposto errato”. si è chiesto se ne esista uno giusto e ha argomentato che a questa domanda non è possibile rispondere dall’interno del taoismo stesso
grazie a te per la replica