Si dice che è facile fare il gatto tra i polli, ben più arduo invece farlo tra le tigri. All´allievo che non esprime adeguatamente la forza della tigre negli stili imitativi, si dice spesso: <<Credi che questa sia una tigre? Al massimo è un gattino>>, quando magari più che un ruggito il giovane emette una sorta di miagolio. E quante volte avete sentito dire, spesso da maestri su altri maestri, i lusinghieri appellativi <<Quello? È un cane>>. Eppure tra feroci tigri, mantidi assassine, serpenti ingannatori, gru nervose e scimmie dispettose ci sono anche loro, i nostri piccoli amici il cane e il gatto.
In mezzo allo zoo shaoliniano esiste infatti il Góu quán,lo stile del cane. Lo vediamo praticare qui da un giovane artista marziale:
La leggenda comincia sconfessando un luogo comune piuttosto saldo: Ng mui non fu l’unica donna a creare uno stile di Kung Fu (il Wing Chun, come ben saprete). Lo stile del cane sarebbe stato infatti farina del sacco di una monaca. Uno stile basato su rotolamenti, capriole e nel frattempo colpi e combattimento a terra. La leggenda lo giustifica asserendo che la pratica cinese di fasciatura dei piedi a cui venivano sottoposte le donne rendeva difficile e doloroso il combattimento in posizione eretta. Le monache dovevano però trovare un sistema per difendersi da malintenzionati e compagnia, e quindi pensarono di ispirarsi al quadrupede per eccellenza: il cane. Non si può combattere da bipedi? Lo faremo a quattro zampe. Eh già: una volta se si aveva un limite si cercava di superarlo e dalla successiva ricerca nascevano stili e metodi. Oggi guai a te se esci di poco dai dogmi di questo o quello stile: poco importa se non regge alla prova dell’efficacia reale.
Il tempio di origine del Góu quán sarebbe quindi stato il monastero buddista del Loto Bianco, residenza esclusivamente femminile situata nella provincia Fujian della Cina meridionale. Le monache affinavano il loro stile di combattimento per tutelarsi durante i viaggi. Una di esse, una tale Si Yue, si sarebbe ammalata durante un viaggio compiuto a Nord e avrebbe trovato soccorso presso la famiglia Chen, che abitava nella regione Yongtai vicino a Fuzhou. Alla remissione, Si Yue si sarebbe poi sdebitata insegnando al loro figlio maschio Chen Biao lo stile del cane. Nel tempo si sarebbero poi avvicendati i discendenti: Fong Sai Yuk, Hui Kai e Zheng Yishan. Fino ad arrivare al maestro Chen Ayin, fuggito a Singapore per evitare una condanna per omicidio (il che è tremendamente attuale). Ospitato da Chen Yijiu, avrebbe trasmesso a quest’ultimo il Góu quán in segno di riconoscenza. Chen Yijiu si sarebbe trasferito poi nel 1932 a Fuzhou, dove avrebbe diffuso il Góu quán integrandolo con le sue precedenti conoscenze di Kung Fu e Muay Thai.
Per quel che riguarda invece il gatto, sembra che ci sia abbastanza confusione già a partire dal nome. Mao quan può significare infatti tanto <<stile del gatto>> quanto <<stile di un maestro di nome Mao>>. Mao è infatti nome diffusissimo in Cina: come Mao Tse Tung, insomma, e come Hung gar è lo stile della famiglia Hung. L’incertezza è il fascino delle leggende del Kung Fu e non ci dà per nulla fastidio. La versione che sostiene che esso sia uno stile imitativo è però decisamente interessante. Negli anni ’60 un monaco buddista di nome Chong Qing si sarebbe trasferito nella regione di São Paulo in Brasile e avrebbe adottato il nome di Mr. Peng. Lavorando nei trasporti, avrebbe incontrato nella regione di Cajuru un giovane di nome Ronaldo Candido Ferreira. Quest’ultimo era già praticante di Judo e Karate, e vi fu quindi un confronto tra i due. Inutile dire che Ronaldo rimase stupito dall’abilità del monaco, che gli spiegò che la sua arte era originaria dello Yunnan e si caratterizzava per Tao Lu diretti ed incisivi, efficacia tipica di uno stile militare. Il contatto tra i due durò alcuni anni, prima che Ronaldo perdesse le tracce del suo maestro. Rinvenne però tra le sue cose un ideogramma che rimandava a Mao: nacque così lo stile del gatto.
La parte più interessante della storia è però la seguente. L’abilità di Ronaldo crebbe e il “fenomeno” fu notato da un allievo del maestro Lo Siu Chung, che lo invitò quindi a prendere il tè. Ne seguì una dimostrazione e Lo Siu Chung restò colpito dal fatto che il Kung Fu di Ronaldo fosse più tradizionale del Kung Fu cinese stesso, che aveva perso oramai le proprie antiche caratteristiche. Era un’occasione di restituire all’arte marziale cinese un pezzo di quello spirito che la modernità le aveva sottratto con l’assottigliamento dei confini geografici e culturali tra i popoli. Attraverso approfondimenti energetici e sulla respirazione, Ronaldo codificò lo stile ed aprì nel 1977 insieme ai suoi fratelli una scuola di Mao quan Kung Fu a Osasco. Da allora, la trasmissione dello stile è giunta fino ai giorni nostri:
Cane e gatto: nemici in strade e appartementi, ma sicuramente non nello sconfinato zoo di Shaolin. Sicuramente differenti, sia per quel che riguarda storia e leggenda, sia per quel che riguarda aspetti tecnici. L’uno sembra dinamico e quasi acrobatico, l’altro felino ma spesso “interneggiante”. Due peculiarità li rendono però decisamente interessanti. Il Gòu Quan sarebbe stato inventato da una donna, per cui il Wing Chun deve dividere questa originalità con il cane. Il Mao quan invece sarebbe uno stile insegnato ai cinesi da un brasiliano: un fenomeno di nome Ronaldo. Certo, parecchia farina arriva da Mr. Peng. Ma le leggende sono fatte anche per essere lette costruttivamente: forse anche noi possiamo insegnare qualcosa ai cinesi. E stavolta non parlo di fenomeni dei calci al pallone.