Avevi ragione tu Maestro!

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rocky e mickey

Il primo round dei campionati italiani di Sanda mi sembra eterno. Sarà perché è la mia prima gara davvero importante e la tensione è altissima, sarà il fatto che combatto sopra un disegno di un enorme Tao, sarà il fatto che è difficile prendere le misure al mio avversario che ha più esperienza di me, è più alto ed è pure mancino, ma in fondo in fondo questa prima ripresa mi sembra infinita, anche se la sto vincendo ai punti e, come se non bastasse, l’ho già fatto uscire dal Lei Tai.
All’ennesimo low kick subito, finalmente gli prendo il tempo, predispongo la mia gamba in diagonale affinché il suo calcio, dopo l’impatto con il mio quadricipite, salga verso l’alto e io lo possa afferrare per poterlo spazzare; se sono fortunato e deciso posso anche buttarlo fuori dal ring. Parte della sua gamba ora è salda nell’incavo del mio guantone sinistro, la sollevo verso l’alto deciso a farlo indietreggiare e farlo uscire dal quadrato e , quando il mio avversario è già sbilanciato, per un attimo, un momento che è nitido ancora oggi nella mia mente, penso: “E’ stato più facile del previsto, ho vinto!!”.
Chi ho di fronte non è esattamente d’accordo con me … grazie alla sua ottima elasticità e alla lunghezza delle sue leve mi afferra per il collo e – non chiedetemi come – riesce a trascinarmi giù con sé. Inutile descrivervi il mio stato d’animo alla ripresa del match, ma prima ancora di aver tempo di insultarmi da solo per la mia superficialità e sbruffonaggine, c’è qualcosa di più forte che sento rimbombare nelle mie orecchie, un suono sordo, ritmico e ossessionante mi pervade, impossibile – rifletto – cosa c’è di ancora più grave di non aver chiuso un round come avrei dovuto fare? Quel qualcosa ha un nome ed è il mio più grande limite: il “fiatone”!!
Vi risparmio i dettagli dei vergognosi 20 secondi della fine della prima ripresa nella quale è proprio il mio avversario a scaraventarmi fuori dal Lei Tai per ben 2 volte con irridente facilità.
Del secondo ed ultimo round vi riporto solo il resoconto dei danni: labbro inferiore gonfio come se stessi facendo una bolla con un big bubble dal colore viola scuro, un naso che non ne vuole sapere di smettere di sanguinare e una caviglia distorta malamente a seguito di uno scoordinato e fuori tempo low kick che ha terminato la sua corsa contro un solido ed insofferente ginocchio.
Saluto il mio avversario con l’ultima briciola di dignità che mi rimane prima di scendere dal quadrato, incrocio lo sguardo con quello del mio maestro quel tanto che basta per leggere la delusione nei suoi occhi e raccolgo velocemente le mie cose per dirigermi di filato dal 118. Ci arrivo zoppicando vistosamente e tenendomi il naso per non continuare a gocciolare per terra. Due tamponi su per le narici, ghiaccio secco per la caviglia. Finalmente mi siedo. In un attimo rivivo i flash delle ore e ore di allenamento dei mesi precedenti spesi a sputar sudore e fatica. Mi sembra tutto tempo perso. Arrivo alla conclusione che questa è stata la mia ultima gara. Basta, smetto…
Poi il fiato torna infine al suo ritmo naturale. Torno a usare più il cervello che il cuore. E mi ritornano in mente tutte le lezioni e i rimproveri che il mio maestro mi ha dispensato, allenamento dopo allenamento, consigliandomi dapprima e rimproverandomi poi di non seguire le sue indicazioni e di dedicare troppo poco tempo e dedizione a “fare fiato”.
Lui ha sempre pensato che l’essere quasi coetanei e soprattutto il fatto che siamo diventati prima ottimi amici e poi lui il mio maestro ed io il suo allievo gli tolga autorità ai miei occhi, non è mai stato così: è il grado di abilità marziale ciò che definisce un maestro e a lui non è mai mancata; imparai molto presto questa lezione quando undicenne osservavo le fulminee e potenti proiezioni che mio maestro di Judo settantenne era in grado di portare a chiunque fosse a portata delle sue salde mani.
La spietata e amara verità è che sono un testardo a cui piace strafare e fare di testa propria. Nella vita e quindi anche nelle arti marziali. Oggi, mentre scrivo, penso a quanto sia ironico che proprio per questo motivo ho maggiormente bisogno di una guida, di un maestro rispetto ad altri.
Mentre l’ossigeno riempie di nuovo i miei polmoni, l’adrenalina cala drasticamente e il dolore bussa forte al mio naso sanguinante, al mio labbro gonfio e alla mia caviglia distorta. Senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi pronuncio fievolmente le seguenti parole: “Avevi ragione tu maestro”.
Lui mi guarda, sorride e copre il silenzio fra di noi colpendomi benevolmente con una pacca affettuosa sulla testa.

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